[the_ad id=”445341″]
[the_ad id=”10725″]
Ivan Zaytsev è sceso in campo al fianco del collega Luca Vettori, che nelle scorse ore ha pubblicato un lungo sfogo su Facebook in merito al regime del vincolo che “incastra” i giocatori. “Indignazione. Quando la libertà viene negata ad un lavoratore ci si indigna. Quando la libertà viene negata a tutti i lavoratori del settore si insorge, nel modo di cui si dispone, ora. Unire la voce. Il vincolo sportivo toglie la possibilità ad un giocatore di pallavolo di scegliere cosa fare del proprio futuro lavorativo” spiega all’inizio del post Vettori, “In nome di una proprietà fittizia (come le macchine, le case o i cavalli), le Società del Consorzio Lega Volley, che proprio ieri si dichiara, con il neo-eletto Presidente, dalla parte degli atleti, posseggono i propri giocattoli..oops giocatori, stabilendo unilateralmente le loro condizioni contrattuali. Provo a buttare giù qualche riflessione. E se nel mio scritto ci fossero lacune è perché nessuno lo spiega univocamente questo sistema, né quando ci si avvicina alla pallavolo a 14 anni (minorenni!), né quando ci si affaccia all’interno della prima società d’appartenenza, né quando si diventa giocatori affermati. Un oscurantismo, pare, cerca di coprire segretamente il funzionamento di questa macchina medioevale, che arricchisce pochi – anno dopo anno – e indebolisce moltissimi“.
[the_ad id=”248876″]
[the_ad id=”668943”]
Queste sono solo le prime parole del lungo post con cui Luca Vettori ha voluto sollevare il problema. Parole dure, non passate inosservate e a cui si unisce anche lo Zar. “Essere un personaggio pubblico non serve a niente se non si ha il coraggio della solidarietà anche quando il problema in oggetto non è il tuo. Altrimenti si chiamerebbe convenienza, a stare zitti, a non farsi altri nemici a non voler essere sempre etichettati come “scomodi”...” esordisce Zaytsev, che spiega la sua situazione: “Il mio cartellino fu pagato nel 2006 500.000 euro, il secondo più alto nella storia della pallavolo, stavo per compiere appena 18 anni. Fu pagato il cognome che porto, di certo non la prospettiva sul mio futuro di palleggiatore scarso qual ero. Mai avrei potuto liberarmi a quella cifra in tutta la mia vita, riuscii a farlo solo andando a giocare come atleta professionista all’estero per due anni. Questa è la mia storia finita bene, ma quante altre storie sommerse ci sono che non fanno rumore? E se Luca è stato duro nelle sue parole non lo si può certo biasimare, sono anni, anzi decenni che alziamo il problema con garbo, educazione e rispetto senza mai nessuno che ci abbia dato una risposta o abbia messo davvero mano a questa storia“.
[the_ad id=”676180″]