Myriam Sylla, oro olimpico con la Nazionale femminile di volley, si racconta ai taccuini di Vogue Italia. La schiacciatrice azzurra inizia parlando della madre, scomparsa alcuni anni fa: “La medaglia olimpica gliela avevo promessa. E non una medaglia qualunque, ma quella più preziosa. Prima di partire per Parigi ne avevo parlato con le compagne di squadra, tralasciando di specificare il metallo per non mettere loro addosso troppa pressione. Ma dell’argento non mi sarei accontentata. E così ho giocato al massimo tutta l’estate. Non so cosa mi sia successo, posso dire che dentro di me c’era qualcosa in più, fisicamente e psicologicamente ero una somma di tutto quello che sono stata in questi anni“.
“Tanti sacrifici, soprattutto dei miei genitori”
Myriam Sylla, che da bambina studiava danza classica, si è approcciata alla pallavolo a dodici anni: “Arrivare qui ha comportato tanti sacrifici, non tanto da parte mia ma soprattutto dei miei genitori. Ero dodicenne quando, per gioco, ho accompagnato mia cugina a un provino nella squadra di pallavolo del paese in cui vivevo, Valgreghentino (in provincia di Lecco, ndr). Mi hanno presa subito. Era tutto molto familiare, lo sport mi piaceva ma più che altro mi divertivo ad andare a mangiare la pizza con le compagne dopo le partite”.
“Gli allenatori, Alberto e Raffaele, mi aiutavano se i miei genitori non si potevano permettere di sostenere i costi delle ginocchiere, delle scarpe e delle borse. Sono stata fortunata, insomma”, continua. “Anche quando ho iniziato a giocare nella polisportiva di Olginate – al tempo c’era il presidente Virgilio Bonacina, ora sua moglie – tutti si sono prodigati per me. E a volte mi hanno salvata dalle punizioni di mio padre, che forse all’epoca non aveva ancora capito quanto fosse importante per me la pallavolo e mi impediva di andare agli allenamenti se non studiavo abbastanza“.
L’approccio al mondo del volley ha preoccupato la famiglia in un primo momento, ma i genitori hanno poi capito le volontà di Myriam: “Inizialmente i miei genitori erano titubanti, ma dal momento in cui hanno compreso che lo sport era il mio sogno, lo hanno sempre appoggiato. Non ci hanno visto il possibile guadagno, oppure la realizzazione di un loro personale progetto sportivo frustrato, come spesso capita con i giovani atleti. E questo, retrospettivamente, mi colpisce perché le condizioni economiche e il Paese in cui sono cresciuti non hanno permesso loro di esaudire molti desideri. Ricordo la pena che provava mio padre vedendomi in difficoltà quando, a 16 anni, mi confrontavo con ragazze che avevano possibilità diverse“.
A quell’età arriva il passaporto italiano per tutta la famiglia Sylla. Una sorpresa che apre alla pallavolista le porte della Nazionale giovanile: “Fino ad allora dovevo andare in questura a Lecco per rinnovare il permesso di soggiorno, e questo significava arrivare alle 5 del mattino, mettersi in coda per scrivere il proprio nome su un foglio che, se già troppo pieno, ti costringeva a tornare il giorno successivo e fare tutto daccapo. L’unica nota positiva era che saltavo la scuola e, finita la trafila, potevo concedermi un McDonald’s”.
“La risposta all’ignoranza è non arretrare”
Myriam parla di Ius Soli, un tema molto importante per lei: “Seguo su TikTok persone della mia generazione che ancora non hanno il passaporto italiano e questo mi fa uscire di testa. Non esiste che, nel 2024, ci siano ragazzini e ragazzine che non possano completare la propria identità. Sono nati qui, cresciuti qui, mangiano e parlano italiano, eppure viene detto loro: “Eh no, siete nigeriani”. Magari non sanno niente del Paese di origine dei loro genitori, o magari sì… Ma chi se ne frega?!”.
I giudizi razziali hanno colpito duramente anche una compagna di Myriam Sylla, Paola Egonu, che in passato ha preso in considerazione anche di abbandonare la Nazionale: “Abbiamo tutte sofferto con lei. Ma la risposta migliore all’ignoranza è non arretrare, non abbandonare il campo. E’ una tecnica che viene da mia madre”, spiega. “Avevamo la stessa “cazzimma” – si può dire? – e ci capivamo al volo. Lei rappresenta la mia parte sinistra, mio padre la destra. Magari la destra ha il controllo, ma senza la sinistra non vai da nessuna parte. E quando lei è mancata, per dare uno sfogo fisico alla sofferenza interiore che provavo, sono andata a farmi il piercing più doloroso: il septum, l’anello alla cartilagine delle narici. Me lo hanno fatto a mano libera. So che non lo toglierò mai, neppure a novant’anni. Perché tra i tanti che ho, è sicuramente quello che mi rappresenta di più“.
Myriam Sylla ha una propria tradizione: per ogni vittoria importante, si aggiunge un piercing. “All’inizio, da ragazza, volevo tatuarmi un enorme dragone che prendeva tutto il braccio e la spalla. Senza senso!. Per fortuna mia mamma mi ha convinta a desistere e contemporaneamente promettere di stare lontana dai tatuaggi. Il primo piercing l’ho fatto con lei, in farmacia: un brillantino al naso. Non sapeva che avrebbe aperto il vaso di Pandora!“.
“Ho iniziato a vomitare dopo mangiato, sapevo che era sbagliato”
La schiacciatrice approfondisce un argomento delicato, quello del disturbo bulimico: “Fin da piccola non mi vedevo come le altre. Rispetto alle coetanee ero più grande, non solo in altezza ma in stazza – tant’è che preferivo stare coi maschi, per non sentire il confronto e il giudizio. Il primo ragazzo a cui ho chiesto di diventare il mio fidanzato – convinta che mi avrebbe detto di sì perché sapevo di piacergli – mi ha risposto: “No, ti vedo come un’amica”. Solo ora ha confessato che era attratto, ma si vergognava di mettersi con me”. “Quando sono andata via di casa per giocare a pallavolo, lontana dalla famiglia e dalla stabilità, ho iniziato a vomitare dopo mangiato. Come me, un’altra compagna. Io lo sapevo che era sbagliato. Abbiamo cercato di aiutarci a vicenda per smettere. E per fortuna, quando la mia tutor intuì cosa stava succedendo, tolse le chiavi dalla porta del bagno“.
Il diario personale di Myriam Sylla
Ad oggi, Myriam è coautrice di una collana di libri, chiamata “Dram Volley”. Una serie di libri dedicati alle giovanissime che approcciano il mondo del volley. Sylla scrive però anche un diario più intimo, in cui racconta pagine della sua vita sportiva e non. Nel corso dell’intervista a Vogue, ne legge alcune righe: “Primo ritiro in vista delle Olimpiadi di Tokyo, 21 maggio 2021. Sono un attimino spaesata. Sento gli occhi addosso ed è tutto molto strano. Ah, dimenticavo… faccio il capitano. Questa nuova condizione per ora non mi pesa e vorrei che non pesasse a nessuna. Siamo qui per qualcosa di più grande. Non ho paura. È solo tensione. Il non sapere come comportarmi. Io sono Myriam e ho voglia di giocare bene. Nient’altro“.
Un salto nel tempo, è il 23 giugno 2021: “Ho lavorato tanto per arrivare qui nel migliore dei modi, invece mi sembra di essere spettatrice di me stessa. Non capisco davvero cosa fare (…). Mamma, ti prego mamma, ti prego. Non mi abbandonare. Sai quanto ho voluto una seconda possibilità e ora che c’è sembra stia sfuggendo lontana da me. Ti prego, ricorda la telefonata su quel balcone a Rio (durante le Olimpiadi 2016, ndr) la mia disperazione e la mia voglia di fare. “Dio sa quello che fa”, mi hai detto. Io sono qua, disposta a dare anima e corpo, non mi mollare. Per favore mamma, ho bisogno di te”.
“PS: per favore, Mami, se puoi aiuta anche Raffa (Raphaela Folie, centrale della Nazionale italiana e sua grande amica, ndr). Vorrei che tutto andasse per il meglio. Ho capito che nella vita l’incertezza è realtà, ma ho fiducia nella vita. Ho fiducia nelle mie decisioni, ho fiducia in me stessa“. Seguono la delusione per l’eliminazione ai quarti di finale, contro una Serbia che poi sarà battuta dalle azzurre agli Europei. Da lì, inizia una rapida crescita, fino al sogno a cinque cerchi che si è consumato a Parigi.
Il successo olimpico, un risultato storico per la Nazionale italiana di volley femminile, ma non solo. Il successo ha dimostrato il valore di una squadra che sotto la guida di Julio Velasco è tornata a splendere, dopo mesi di difficoltà. Myriam Sylla racconta che una settimana dopo la vittoria, ha ricevuto una chiamata al telefono dal padre: ““Sono orgoglioso di te”, mi ha detto al telefono. Era la prima volta“.