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“Un Natale diverso. Riservato, ma non meno sentito: mi hanno tolto anche la milza e non ho gli anticorpi che il mio fisico dovrebbe produrre. Incontro i parenti con la mascherina, però la situazione richiedeva massime precauzioni. Quindi ho trascorso il Natale con mia moglie Ylenia, la mia famiglia, la persona che è rimasta sempre con me anche nei momenti più difficili, quando la sofferenza ti toglie qualsiasi lucidità ”. Con queste parole Tathiana Garbin, capitana dell’Italia femminile del tennis, parla in un’intervista al Corriere della Sera della sua battaglia contro un raro tumore.
Una prima diagnosi ricevuta al ritorno dagli US Open, quando aveva avvertito i primi dolori alla pancia. Un primo intervento poche settimane prima delle Finals di Billie Jean King Cup in cui le sue ragazze hanno portato l’Italia a spingersi fino alla finale. Poi, una seconda operazione seguita da complicazioni che hanno riportato Garbin in ospedale: “Occlusione intestinale. È come se, finito un match durissimo e data la mano all’avversaria, l’arbitro fosse venuto a chiamarmi sotto la doccia: Tati, sei ancora 5-5 al terzo set, devi tornare in campo. Che fai? Accetti oppure rischi di perdere la partita”.
“È una vita che mi preparo per una sfida così grande. Ma le sfide non le scegliamo, arrivano – racconta Tathiana -. Bisogna essere pronti ad affrontarle. Aver giocato a tennis ad alto livello, e averlo insegnato ha avuto un ruolo importante in questa vicenda. Quando mi hanno diagnosticato lo pseudomixoma peritonei, il tumore che origina dall’appendice e che colpisce una persona su un milione, ero pronta: mentalmente e fisicamente. Sono tornata in campo per il match della vita, voglio essere d’esempio per le mie giocatrici. L’esempio è fondamentale”.
Un legame forte, quello con le Azzurre del tennis: “In Billie Jean King Cup, a Siviglia, sono andate oltre le loro possibilità , scavando dentro se stesse per trovare energie inaspettate. Le ragazze sapevano, nei loro occhi ho visto la forza che cercavo e io volevo esserci così che non si sentissero sole. Prima del secondo intervento sono venute a trovarmi a Pisa con una nostra foto incorniciata: non ho smesso di guardarla un attimo. Siamo cresciute insieme, negli anni sono diventate le mie figlie, la mia famiglia itinerante. L’allenatore deve accompagnare, mai imporsi: ho cercato di dare loro le mie armi, perché andassero autonome per il mondo. E nel momento del bisogno, insieme alla Federtennis, mi hanno restituito tutto”
Poi, la decisione di rendere la notizia di dominio pubblico dopo la finale di Siviglia: “Ci ho pensato tanto, perché la malattia spesso viene vissuta con vergogna e a Siviglia era giusto che tutta la luce l’avessero le ragazze. Finito il torneo, mi sono convinta di poter dare un contributo alle persone in difficoltà : ho visto tanta sofferenza, e qualcuno che non ha reagito e non ce l’ha fatta. Ho iniziato a scrivere per aiutare me, per osservare da fuori cosa mi stava accadendo. Rileggermi, anche oggi, mi serve. Mi hanno scritto in tantissimi. Comunicare la malattia significa anche farsi aiutare: tendere la mano è un grande atto di coraggio”.
Il tutto, con uno sguardo al 2024: “Nella visita del 15 gennaio l’oncologo mi dirà se le cure chemioterapiche sono state sufficienti: sembrerebbe di sì. Vorrei riprendermi la mia vita, quello che ho sempre amato, ciò che ho sempre voluto fare. Ho la fortuna che il mio lavoro sia la mia passione. Mi sveglio ogni mattina più motivata che mai”
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