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Scherma: con progetto “Rio 2016” i bambini autistici volano ai Giochi

Progetto "Rio 2016" - Foto Sportface.it

Tirare con gli azzurri della spada in partenza per l’Olimpiade di Rio de Janeiro e stare al loro fianco in Brasile durante i Giochi. Questo il progetto “Rio 2016”, presentato oggi pomeriggio all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma dal presidente Mariella Enoc e rivolto ai bambini con disturbo dello spettro autistico avviati alla pratica della scherma, per l’occasione in pedana insieme a Enrico Garozzo, Paolo Pizzo, Andrea Santarelli e Marco Fichera, rappresentanti dell’Italia ai prossimi Giochi Olimpici.

Questa esperienza è pioneristica nel suo genere e in termini di inclusione sociale della disabilità ha dei risvolti importanti – ha sottolineato il dottor Luigi Mazzone, neuropsichiatra infantile del Bambino Gesù, maestro federale di scherma e mental coach della nazionale – Potrebbe contribuire a un radicale cambiamento nell’integrazione di persone con autismo all’interno del contesto sportivo”. Gli otto bambini inclusi nel progetto, realizzato dall’ospedale pediatrico in collaborazione con gli altri progetti “Aita Onlus” e “Accademia Scherma Lia”, hanno un’età compresa tra 11 e 16 anni e, dopo essersi esibiti oggi pomeriggio, voleranno a Rio de Janeiro dal 7 al 16 agosto, alloggiando nei pressi del villaggio olimpico accompagnati da cinque operatori specializzati dell’ospedale insieme a una maestra di scherma.

A nome della federazione voglio ringraziare l’ospedale – ha dichiarato il presidente della Fis Giorgio Scarso – Lo sport è di tutti e questo progetto ne è la testimonianza, dimostrando come la scherma possa essere uno strumento di integrazione. Siamo felici di poter dare un contributo, lo abbiamo fatto con il mondo paralimpico e lo facciamo ancora oggi”. “Per questi ragazzi sarà un momento particolare e molto bello – ha aggiunto il direttore delle risorse umane, dell’organizzazione e dello staff del Bambino Gesù, Ruggero Parrotto – Le giornate per chi non sta bene sono lunghe e tante: ricordiamoci che chi lotta lo fa per stare meglio. L’ospedale fa il suo lavoro in tanti modi: questo ne è un esempio, aperto e inclusivo”.

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