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“Lo ricordo sicuramente come un uomo generoso. Ne conservo dolorosamente il ricordo e in silenzio ne custodisco gli insegnamenti. Ricordo mille suoi gesti. Una volta alzò la cornetta per chiamare un presidente e spiegargli che un suo dipendente non stava bene, ma sarebbe guarito, che il contratto gli scadeva e il presidente glielo rinnovò immediatamente, dopo quella telefonata. Non lasciava nulla al caso, fosse una conferenza stampa o una presentazione pubblica. Era dannatamente perfezionista”. A parlare è Diego Apicella, l’unico dello staff di Sinisa a non essere ‘uomo di calcio’. 49 anni, una laurea in Scienze giuridiche e una specializzazione in gestione delle risorse umane ottenuta alla London School of Economics, è protagonista di un’intervista a Repubblica.
Sugli anni della malattia: “Durissimi, ma ricchi di insegnamenti quotidiani, credo che a noi tutti abbia dato davvero tanto. Aveva una disciplina straordinaria, viveva appieno il suo momento. Diceva che la vita andava goduta e vissuta sempre. E diceva che purtroppo di questa ricchezza l’uomo spesso si accorge durante una malattia, non prima”.
Sugli ultimi mesi di Sinisa: “S’è sempre comportato, dopo che gli venne diagnosticata la recidiva, come se avesse capito che ogni momento era tempo guadagnato. Coi ragazzi, dopo, ce lo siamo chiesti, perché non fosse rimasto a casa, perché si ostinasse ad esserci sempre, credo che il motivo fosse questo, viveva al massimo ogni attimo. In psicologia si chiama consapevolezza personale, che allude al ‘qui e ora’, ossia al concetto di vivere il momento. E anche dal letto d’ospedale, le ultime settimane, non smetteva di leggere. Mi chiamava, mi chiedeva consigli, titoli, poi sua moglie Arianna andava a comperare i libri e glieli portava”.
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