Il CEO Corporate dell’Inter, Alessandro Antonello, ha parlato durante la presentazione del libro “Le nuove guerre del calcio” di Marco Bellinazzo. Ecco le sue parole riportate da FcInter1908 e dall’inviato Daniele Vitiello: “Immagino che la parola Superlega abbia toccato gli animi dei tifosi, abbiamo vissuto una presa posizione forte: questo fenomeno della loro partecipazione ha influenzato in modo partecipante l’esito. La gestione della comunicazione forse non è stata proprio corretta: l’intenzione era iniziare un percorso nelle istituzioni. L’errore più grande non è stato aver comunicato per tempo le vere intenzioni per poi partire col progetto. Da lì però si è partiti con un cambiamento del sistema calcio: l’Uefa ha reagito e sono state istituite nuove competizioni come la Conference, che ha il valore di far partecipare club di seconda o terza fascia a competizioni europee. Questo significa socializzare e dare la possibilità ad altri club di partecipare e vincere le competizioni.
La Champions League avrà più squadre e nuovi club potranno incontrarsi: vedremo partite nuove. L’idea di allargare il numero di squadre è una prima risposta del sistema alla Superlega: dobbiamo far sì che anche i club di leghe minori abbiano la possibilità di partecipare alle competizioni. Oggi però trovare equilibrio nell’equodistribuzione delle risorse è il tema corretto. In due/tre anni stiamo affrontando a riforme calcistiche che mai si sarebbero pensate: tutto perché dobbiamo coniugare il fatto che il liberismo economico possa portare risorse nel calcio, ma anche ad un sostentamento anche dei campionati minori. Questo binomio tra globalizzazione del calcio e protezionismo dei campionati locali è qualcosa su cui si dovrà lavorare: non possiamo pensare di essere schiacciati a livello internazionale. Dobbiamo puntare sui giovani, riguardare al territorio: si guarda alla globalizzazione, invece va fatto il ragionamento opposto e capire come far tornare il calcio nelle scuole e in periferia. E’ da lì che si creano le infrastrutture per poter dare i campioni alle squadre”.
E ancora: “Con la Liga ce lo siamo detti, il divario è veramente molto grande. Noi parliamo di un valore dei diritti internazionali intorno ai 300 milioni di euro, quando la Liga è intorno ai 2 billions. Cosa vuol dire: vuol dire che negli ultimi anni, soprattutto nell’ultimo decennio, l’Italia non ha investito, non siamo stati in grado di affrontare i mercati internazionali in maniera adeguata e di andare noi come prodotto Italia e Serie A nei paese che ancora oggi vivono nel periodo d’oro degli anni 90, dove vedono ancora oggi nel prodotto calcio Italia un qualcosa di molto importante.
Se poi questi territori non li coltivi e non li domini, se non cerchi di tenerli vivi, è chiaro che si perdono i contatti e il valore, e di conseguenza altre leghe più strutturate sono riuscite ad accaparrarsi questi mercati. Noi dobbiamo tornare a investire sul territorio internazionale, anche perché abbiamo un appeal che altri campionati non hanno. Negli ultimi 4 anni 4 squadre diverse hanno vinto il campionato italiano, alternandosi fino all’ultima giornata. Quest’anno grande merito al Napoli, ma sulla partecipazione alle coppe europee fino all’ultima giornata il campionato è rimasto aperto. Le competizioni europee sono fondamentali per i club, le risorse economiche che mettono a disposizione sono fondamentali per competere”.
In conclusione: “Siamo sempre stati coerenti, abbiamo sempre creduto che un nuovo impianto fosse la scelta corretta. Crediamo che la valenza di essere a San Siro è anche il legame storico dell’area, quindi poter dotare il club di un impianto moderno può dare ai tifosi un’esperienza in cui i tifosi possono godere di uno spettacolo non solo nei 90 minuti, ma anche prima e dopo e che si possa vivere 7 giorni su 7. E’ chiaro che i vincoli ci sono, l’amministrazione ha fatto tutti i passaggi e dopo quattro anni siamo ancora a chiederci se è possibile avere l’ok per un impianto: siamo ancora soggetti della verifica del vincolo sul secondo anello, dovrebbe scattare nel 2025. Anche in questo dimostriamo dove il nostro genio italico riesce a portarci (ride, ndr). Noi ogni anno perdiamo 50/60 milioni per club: sono risorse che servirebbero per rinforzare la squadra e competere a livello europeo.
Noi crediamo che San Siro sia il luogo adatto: nel momento in cui costruiremo un nuovo impianto che abbia le stesse caratteristiche emozionali di San Siro ma che sia moderno, credo che i tifosi sono intelligenti e credo possano immaginarsi che il nuovo stadio sia altrettanto bello ed entusiasmante. Ci siamo sorpresi anche noi, c’era tanto entusiasmo ad inizio percorso: in quattro anni in una città come Milano non abbiamo ancora una risposta ancora oggi. La capienza? Venivamo da anni in cui la media era più bassa, abbiamo già alzato a 70mila persone nella rivisitazione del progetto esecutivo: riteniamo sia la soglia corretta. Possiamo pensare di avere uno stadio anche da 100mila persone, però dobbiamo essere in grado di avere una percentuale di occupazione costante: 70mila è la dimensione corretta per Milano. E’ vero che post-pandemia abbiamo avuto numeri importanti perché da 7 anni l’Inter è prima per partecipazione superando i 72mila posti. Dire che non abbiamo fatto impresa mi trova in disaccordo totale: io lavoro personalmente da quattro anni sul progetto. Se un imprenditore e una proprietà lavorano per fare impresa ma non viene data l’opportunità di farlo, si può dire tutto: noi la volontà di fare impresa ce l’abbiamo. Se non possiamo farlo a Milano, lo faremo da un’altra parte”.