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Dopo aver alzato il quesito riguardo i Pittsburgh Penguins come la probabile favorita di questa finalissima di Stanley Cup 2016, oggi passiamo ai San Jose Sharks. Definirli “underdogs” non è riduttivo e neanche offensivo: si sottolinea il semplice fatto che gli squali son giunti per la loro prima volta, in 25 anni di storia, a una finale playoff. San Jose è una squadra che predilige la fase offensiva e riesce a mandare a rete diversi giocatori, non a caso è l’unico team in questi playoff che vanta 3 giocatori sopra la soglia dei 20 punti.
Chi sono i top player? Partiamo da Joe Pavelski, il capitano di questa squadra. L’attaccante ha ricevuto l’onore d’indossare la maglia con la “C” sul petto all’inizio di questa stagione, dopo un brillante 2015, nonostante delle prestazioni della squadra al di sotto delle aspettative (infatti, gli Sharks non si qualificarono ai playoff). Pavelski è uno dei seri candidati al Conn Smythe Trophy (premio da MVP della Stanley Cup) perché è primo nella classifica delle reti decisive per la vittoria del team. “Captain America” (come viene chiamato dai suoi tifosi) ormai non è più sottovalutato perché ha conquistato tutti con la sua capacità di segnare goal di precisione oltre a essere uno dei migliori giocatori nella NHL a deviare le conclusioni di fronte al net.
In secondo luogo, parliamo del leader della classifica punti e assist, Logan Couture. Anch’esso, come Pavelski, è un altro candidato al Conn Smythe Trophy dopo aver buttato giù diversi record specialmente nella serie contro i Nashville Predators di cui è stato il vero e proprio “mattatore”. Couture vanta due punti in più di Pavelski (24 contro i 22 del capitano) ed è un giocatore decisamente più versatile, più rapido e probabilmente anche più “bello” stilisticamente da veder giocare. Dopo aver superato finalmente i gravi problemi fisici, Couture è riuscito a dare quell’apporto in più che ha permesso agli Sharks di fare il salto di qualità in questi playoff.
Arriviamo al duo draftato nel 1997 come prima e seconda scelta assoluta, Joe Thornton e Patrick Marleau. Questi due signori, non di certo dei giovani alle prime armi, son riusciti per la prima volta a raggiungere la finale della Stanley Cup dopo tante lacrime e delusioni. Thornton è il fedele compagno di Pavelski: i due non vengono mai separati e nel 90% dei casi, in un’azione con loro sul ghiaccio (specialmente in powerplay), vanno a punti entrambi. Marleau invece è stato spostato più volte tra la seconda e la terza linea per il semplice fatto che viene visto come un attaccante molto importante nella fase difensiva grazie al pressing “corpo a corpo”, che non permette agli avversari di impostare tranquillamente l’azione offensiva. Thornton ha siglato 3 goal e 15 assist mentre Marleau solamente 4 goal e 8 assist, non dei grandissimi goleador ma la loro caratteristica in comune è proprio l’intelligenza hockeystica nel cercare di servire al meglio i compagni.
In difesa abbiamo due giocatori da mettere in risalto i cui nomi sono Brent Burns e Marc-Edouard Vlasic. Il primo è uno dei difensori più amati nel panorama della NHL. Conosciuto per la sua lunga e folta barba oltre per alcuni scherzi ai compagni che divertono i tifosi, Burns è uno che quando scende sul ghiaccio, si trasforma, smette di fare lo “scemo” e dimostra tutta la sua grinta specialmente nell’azione offensiva. Con gli Sharks ha trovato la situazione ideale per esprimersi al meglio e sfondando diversi record che lo avvicinano a difensori “point-man” come Erik Karlsson degli Ottawa Senators. Non ha ancora raggiunto i livelli da 80 punti però è sicuramente da sottolineare il fatto che Burns in questi playoff abbia già segnato 6 goal e 14 assist. L’altro giocatore, Marc-Edouard Vlasic, è sicuramente meno conosciuto e meno citato ma viene visto come un “gladiatore” dai suoi tifosi. Non solo il numero 44 lo troviamo ovunque con un grande minutaggio sul ghiaccio, Vlasic riesce anche a produrre un qualcosina nella fase offensiva avendo 11 punti, solamente uno in meno di Patrick Marleau.
In porta troviamo un “novellino” giunto alla vera prima occasione da titolare, Martin Jones. Arrivato dai Los Angeles Kings (tramite i Boston Bruins), Jones ha voluto lasciare L.A. per il poco spazio vista l’ingombrante presenza di un certo Jonathan Quick. Agli Sharks ha trovato lo spazio necessario anche per via della cessione di Antti Niemi ed è l’unico portiere a non aver saltato neanche una partita in questi playoff (a differenza di tutte le altre finaliste di Conference che per un motivo o per un altro hanno fatto il cambiamento nel net). Non viene visto come un “game-changer” né tanto meno come un pilastro importante di una squadra vincente, ma certo è che Jones ci ha messo del suo per far arrivare San Jose a questo traguardo storico, risultando fondamentale al primo round proprio contro la sua ex squadra eliminata in 5 gare.
Tra gli altri giocatori nominiamo una pedina fondamentale dal nome di Joel Ward. Arrivato dai Capitals, è riuscito ad apportare delle ottime prestazioni sia in fase offensiva, sia in quella difensiva. Joonas Donskoi, è un attaccante molto interessante che sta attirando i riflettori per la prima volta nella sua carriera. Menzione speciale anche per il giovane Tomas Hertl chiamato da tutti “il predestinato” (con quel goal, nell’anno del suo esordio, contro i New York Rangers ancora negli occhi). Ed è giusto anche sottolineare l’esperienza apportata da Paul Martin in difesa, non uno degli uomini copertina ma un giocatore dall’egregio lavoro “sporco”.
Chiudiamo con un piccolo cenno all’allenatore Peter DeBoer, sbeffeggiato da tutti all’inizio di stagione ed ora osannato per aver compiuto una grande impresa portando per la prima volta San Jose in finale con la vittoria nella Western Conference. Oltretutto, per DeBoer, questa è la seconda finale di Stanley Cup dopo quella del 2012, dove portò i New Jersey Devils ad affrontare i Los Angeles Kings proprio in un anno di “ricostruzione” della sua squadra dopo l’esclusione dai playoff nella stagione precedente (esattamente l’analoga situazione dei San Jose Sharks). La prima volta non si scorda mai? Gli squali lo sperano vivamente in positivo.