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Ormai è storia ed in molti paragonano il suo lavoro da portiere, ai tempi d’oro, ed il suo lavoro da allenatore. Patrick Roy non è più l’allenatore dei Colorado Avalanche dall’11 agosto, data in cui si congedò alla dirigenza ed ai tifosi con un comunicato dove espresse tutta la sua vicinanza ed il suo amore per gli Avs togliendosi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti del general manager Joe Sakic.
Nel maggio del 2013 il “four time Stanley Cup Champions” tornò nella National Hockey League con un lavoro diverso dagli altri head coach. Difatti, al momento della firma, era stato stabilito che Patrick Roy avrebbe avuto un ampio margine di operazione su diverse decisioni e che durante il suo mandato avrebbe lavorato a stretto contratto proprio con Joe Sakic. Dopo una prima stagione d’esordio con i fiocchi in cui riuscì a raggiungere ben 112 punti vincendo la Central Division ma non andando a fondo in Stanley Cup, la guida di Roy è caduta ben presto nella mediocrità lottando, tra marzo ed aprile, per un posto wild card per i playoff. Le due esclusioni consecutive negli ultimi due anni hanno messo in discussione tutto il lavoro del binomio Roy-Sakic facendo crollare il castello di carte giusto pochi mesi fa.
Durante il mercato estivo, Roy e Sakic si son scontrati su diverse visioni con l’allenatore che chiedeva innesti importanti sia in attacco sia in difesa mentre il general manager ha ritenuto opportuno mantenere “in piedi” il precedente roster con i tanti rinnovi e degli acquisti passati in secondo piano. Gli arrivi dei vari Joe Colborne, Fedor Tyutin e Patrick Wiercioch non hanno dato la sostanza che Roy si aspettava ritenendo queste mosse insufficienti per proseguire il lavoro ed uscirne dalla mediocrità.
Queste le sue dimissioni racchiuse in una lettera: “Negli ultimi tre anni ho lavorato con grande passione e determinazione ai Colorado Avalanche, da allenatore ma anche da dirigente interno. Ho riflettuto tanto riguardo questa decisione, non è stata un’estate facile, ho pensato a come avrei potuto dare una scossa all’ambiente a migliorare il mio gruppo, a come poter rendere questa squadra più forte. Personalmente penso che per costruire una squadra e per poter lavorare con tranquillità traendone vantaggi, ci deve esser un forte legame tra ciò che vede la dirigenza e ciò che vede un allenatore. Se vi è un conflitto l’ambiente lo risente e ciò può esser nocivo. Oggi ho deciso d’informarvi delle mie dimissioni ma sarò per sempre legato agli Avalanche ed a tutte le persone attorno a questo team che mi hanno permesso di diventare grande. Un ringraziamento speciale va anche ai fans che da sempre mi hanno supportato. Rimarrò per sempre fedele agli Avs dove ho giocato 478 partite, allenato per 253 match e vinto, soprattutto, due Stanley Cup”
Nonostante ciò la presenza di Patrick Roy ha sempre attirato una certa attenzione mediatica. Le prestazioni altalenanti, le grandi nottate di Matt Duchene, Gabriel Landeskog e Nathan MacKinnon, le goleade subite e rifilate, i continui cambi nel net e le pazzie di andar tutti all’attacco (con l’empty-net) addirittura 3 minuti prima dell’horn finale, ingredienti che hanno caratterizzato questi ultimi anni da cardiopalma per i tifosi degli Avalanche. E forse ora servirebbe una persona ed un gioco più tranquillo, un allenatore in grado di riequilibrare una squadra che da spettacolo ma che allo stesso tempo è stata più volte considerata scarsa nelle “azioni difensive”.
Una persona individuata in Jared Bednar, l’allenatore che ha vinto l’ultima edizione della Calder Cup in American Hockey League con i Lake Erie Monsters. Fresco di vittoria seppur inesperto nella NHL, Bednar nella sua carriera ha potuto allenare anche i Peoria Rivermen ed i Springfield Falcons.