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“Sono un medico, specializzando in Medicina dello Sport. Nella vita oltre a fare scherma, mi sono dedicato molto allo studio e da due anni lavoro in ospedale. Ho vinto le Olimpiadi a Rio 2016 e l’argento a Tokyo 2020 nel fioretto individuale“. Si presenta così Daniele Garozzo, raggiunto telefonicamente in esclusiva da Sportface.it, come se conciliare sport e studio (ed eccellere in entrambi) non fosse poi così complicato. Non di rado i genitori di giovani talenti si avvicinano a Daniele per raccontargli quanto siano contenti che i figli vedano in lui un modello: “È il complimento più bello che mi fanno, dentro sorrido di felicità e ringrazio. Ne è valsa la pena di per sé – sottolinea il 31enne siciliano -, ma se posso ispirare valori nei ragazzi giovani che mi guardano come un esempio allora ne è veramente valsa la pena. Per me questa è un’altra medaglia“.
E medaglie ne sono arrivate tante, comprese quelle di Rio 2016 e Tokyo 2020, “due Olimpiadi diverse e bellissime“. Daniele definisce una perla l’oro da debuttante a Rio 2016, vinto “un po’ da underdog perché ero il numero 7 al mondo. Tokyo è stata diversa perché confermarsi è molto più difficile e ci sono riuscito parzialmente. Purtroppo, per mia attitudine, ero quasi insoddisfatto dell’argento, ma in realtà è stato qualcosa di straordinario: nessuno nella storia del mio sport dal dopoguerra è riuscito a vincere un oro ed un argento individuali in due Olimpiadi consecutive. Questo rende chiara la dimensione dell’impresa“. Due Olimpiadi diverse anche per atmosfera: “La prima l’ho vissuta con grandissima emozione. Ricordo il fracasso del Maracanà quando siamo entrati, sembrava davvero di essere ad una festa perché alla fine l’Olimpiade è la festa dello sport. L’altra è stata veramente triste: lo stadio totalmente vuoto, il silenzio più totale“.
Su Parigi però non si espone troppo perché “la competizione è molto forte anche internamente alla Nazionale quindi ogni stagione è a sé e bisogna sempre dimostrare di essere in grado di essere convocati. Non do niente per scontato, nonostante i miei titoli, si vedrà se meriterò di andare alle Olimpiadi. È da dieci anni che sono in Nazionale e ogni anno me lo sono guadagnato (il posto in squadra, ndr) e anche quest’anno voglio guadagnarmelo“. La testa ora è proiettata a Parigi, poi “a settembre, cercherò di fare mente locale, magari andrò a fare un Cammino di Santiago (ride, ndr) e forse avrò l’illuminazione per capire se vale la pena continuare o dedicarmi del tutto alla mia esperienza di medico“. Ritiro non imminente dunque: “Per ora mi godo il presente, quando sarà il momento lo capirò”.
La passione per la scherma è ancora troppo grande, nonostante quella “componente aleatoria, che è il bello e il brutto. È uno sport di situazione che dura poco quindi ti giochi veramente tutto in un minuto o due minuti. E quando sei alle Olimpiadi questo può pesare un po’: si arriva a 15, poi non c’è il secondo set e vai a casa. In un minuto fondamentalmente rischi di giocarti 4 anni di lavoro“. Nel caso del fiorettista siciliano poi la tensione a volte “è per due“, dato che la fidanzata Alice Volpi è anch’essa una campionessa di fioretto. “Però ci sono tanti aspetti positivi. Abbiamo girato il mondo assieme, condiviso emozioni, dispiaceri, gioie, tante cose che non basterebbero due vite ad una persona normale per vivere quello che ho vissuto con Alice“.
La tensione Daniele sembra saperla gestire molto bene, ma lui stesso ammette di vivere le gare “a volte malissimo, a volte benissimo. Gli atleti vengono visti spesso come persone che non hanno mai problemi. Mi piace invece molto il racconto di tanti miei colleghi, che parlano del disagio mentale, di quell’ansia che a volte ci mettiamo noi stessi di deludere gli altri, gli amici, lo sponsor, la Nazione, l’allenatore, i compagni“. Per questo, il 31enne cerca di ricordarsi sempre di “viverla con più leggerezza, alla fine nessuno di noi sta salvando il mondo. Quello che facciamo è ispirare valori, far vedere qualcosa di bello perché lo sport genera bellezza nella sua forma più alta: vedere una persona che non si arrende davanti alle difficoltà può essere una motivazione anche per chi non fa sport, oltre che una forma di intrattenimento“.
Insomma, Daniele è un ragazzo semplice, che si è innamorato della scherma “quando a carnevale ad Acireale mi vestivo da Zorro e D’Artagnan e giocavo con mio fratello con le spade”. Quando non è in pedana o sui libri, invece, ama uscire con gli amici a mangiare una pizza e fare passeggiate con il cane Forrest. “Sono un ragazzo semplice. Sono un ragazzo un po’ noioso forse per questo non ho avuto molto successo mediatico” dice scherzando Daniele, che vive la competizione nella sua forma migliore, quella in cui “due ragazzi cercano di competere l’uno contro l’altro per tirare fuori il meglio dell’altro, non per affossarlo. Quando poi un rapporto si perpetua per anni diventa amicizia“, tanto che “ho regalato qualche volta qualche dolce siciliano a qualche amico straniero“.
Fra questi anche Alexander Massialas, uno degli avversari storici che sfida da oltre 15 anni: “Devo tanto del ragazzo che sono alle sfide che ho avuto con lui, alla necessità che ho fatto mia di dovermi allenare tantissimo per poterlo superare quindi mi ha reso una persona migliore, non solo un atleta migliore“. Proprio contro lo statunitense, nella finale olimpica di Rio, è arrivata una delle stoccate che Daniele ricorda con maggiore emozione: “Mettere una stoccata praticamente in corsa dietro la schiena dell’avversario in un momento decisivo è stato qualcosa che non potrò mai dimenticare“.
La speranza è che arrivino nuove imprese da raccontare, anche se “il movimento scherma è cambiato a livello internazionale. Venti anni fa l’Italia faceva incetta di medaglie perché fondamentalmente ce la giocavamo con altri 3-4 paesi, adesso uno sport troppo più globalizzato. È bellissimo che la scherma si sia diffusa in tutto il mondo per chi ama questo sport come lo amo io, però è ovvio che poi la torta te la dividi con più persone“. Ma Daniele Garozzo non si nasconde (“sono convinto che queste Olimpiadi andranno benissimo, meglio di Tokyo“), in barba alla scaramanzia spesso molto cara agli atleti. Anche perché “la scaramanzia a me, personalmente, porta male“.
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