Per il secondo anno consecutivo, Garbine Muguruza prenderà parte alle Wta Finals di Singapore. Attualmente numero 6 del mondo, la spagnola ha raggiunto la qualificazione matematica la scorsa settimana, grazie ai quarti di finale conquistati nel torneo di Linz. Giunge alle Finals forte di uno Slam in bacheca (il Roland Garros), di un Sam in panchina (Sam Sumyk, il coach che ha portato Victoria Azarenka al numero 1 del mondo) e di un sem…preverde quesito che adombra l’etichetta di campionessa già cucitale addosso: troverà la continuità degna di una numero 1 del mondo?
Garbine aveva vissuto un 2015 sotto la luce dei riflettori. La top 10, la prima finale Major (a Wimbledon), ma anche il primo titolo prestigioso della carriera, il Wta Premier di Pechino. La spagnola si presentò alle sue prime Wta Finals da numero 3 del mondo, andando a vincere tutti i match del girone e cedendo in semifinale alla futura campionessa Agnieszka Radwanska per 7-5 al terzo. Una stagione brillante, culminata con un epilogo sfortunato ma ugualmente prestigioso.
Il 2016 doveva essere dunque l’anno della consacrazione, per avallare le teorie di quanti individuano nella 23enne di origini venezuelane la futura dominatrice del circuito femminile.
Ebbene, le risposte ottenute sono ancora contrastanti. La stagione attuale racconta di una Muguruza in grado di acuti eccezionali (la vittoria a Parigi), così come di ingiustificabili passi falsi (tanti, soprattutto nella fase iniziale e in quella finale della stagione). Una storia in parte simile a quella di Stan Wawrinka, per la capacità di alternare settimane da Dio a settimane d’addio precoce ai tornei, ma anche la condivisione di un fisico diversamente possente, che esalta la potenza dei colpi ma talvolta enfatizza fisiologiche lacune di spostamento. Entrambi hanno trovato nella terra battuta un’insospettabile alleata, sfruttando la lentezza della superficie per piazzarsi meglio prima di colpire, e comandare poi il gioco a suon di bordate. Certo, si tratta di colleghi che attraversano fasi tennistiche totalmente differenti. La Muguruza è ancora in rampa di lancio, lo svizzero (ultra-trentenne) ha scoperto nella fase finale della sua carriera uno status da vincente inimmaginabile fino a qualche anno fa.
IL RACCONTO DEL 2016 – Veniamo al resoconto analitico del 2016 della spagnola. Una partenza col freno a mano tirato fa storcere il naso ai suoi detrattori e incupire i suoi crescenti sostenitori. Dopo il ritiro a Brisbane, conquista soli 5 game nel terzo turno degli Australian Open, dove viene eliminata da Barbora Strycova. A Dubai perde all’esordio da Elina Svitolina; meglio a Doha, dove cede nei quarti ad Andrea Petkovic, ma la sconfitta ad Indian Wells contro Christina McHale rigetta ombre sulle sue reali ambizioni. Garbine appare in ritardo di condizione, e disciplinare i suoi 182 centimetri di altezza senza l’assistenza delle gambe è impresa impossibile. A Miami alza la voce: elimina Cibulkova e Gibbs per poi uscire di scena nei quarti di finale contro Victoria Azarenka, ma al termine di un bellissimo incontro perso in due tie break (7-6 (6), 7-6 (4)).
Sembrerebbe la svolta. E invece l’arrivo della stagione su terra evidenzia ancora difetti di continuità. Alle schiaccianti vittorie in Fed Cup (sulle malcapitate Schiavone e Vinci) non fanno seguito prestazioni di pari livello a Stoccarda e Madrid, dove la Muguruza perde rispettivamente contro Kvitova (nei quarti di finale, subendo un 6-0 nel terzo set) e Begu (al secondo turno).
È il sole romano a illuminare le sue opache performance. Dopo le vittorie con Makarova, Ostapenko e Bacsinszky, la spagnola cede un po’ a sorpresa a Madison Keys in semifinale, quando tutti già pregustavano una finale contro Serena Williams. Ma la cornice è ormai pronta, lo scenario dell’immaginario passaggio di consegne non è il Colosseo ma la Tour Eiffel. A Parigi, Garbine perde il primo set all’esordio contro la Schmiedlova, ma da lì inanella una striscia di risultati roboanti, sigillata dal capolavoro finale proprio contro la Williams. Gioca un match di sorprendente disinvoltura, mostrandosi glaciale nei momenti chiave del match. Il lob di rovescio con cui suggella il proprio trionfo scavalca la numero 1 americana in altezza, ma metaforicamente rivela anche il piano diabolico elaborato sotto i consigli di Sumyk: superare Serena anche in classifica, e guardare tutte le altre dall’alto del ranking mondiale.
Ma Garbine non sembra ancora pronta. Forse ubriaca del successo parigino, è protagonista di un’estate insoddisfacente, che ha nella semifinale di Cincinnati (persa con la Pliskova) l’unico risultato di prestigio. Le eliminazioni al secondo turno a Wimbledon (per mano della Cepelova) e agli Us Open (sconfitta dalla Sevastova) ci dicono che la spagnola è ancora distante dall’impugnare lo scettro, e che il primo successo a livello Slam potrebbe rivelarsi una letale spada di Damocle sulle sue ambizioni di egemonia. I (pochi) punti totalizzati negli ultimi due mesi sono sufficienti per raggiungere le Finals, ma la sua forma e le sue condizioni fisiche (a Linz si è ritirata per un apparente problema alla caviglia) pongono dei dubbi in merito alle sue concrete chances di vittoria.
Sarà lei l’artefice del suo cammino. Appena 23enne, ha tutto il tempo per disegnare il proprio futuro, cui può guardare ancora con cosciente spensieratezza. Ma non dovrà cullarsi sugli allori di singoli trionfi, né lasciarsi depistare dal corredo mediatico che fa seguito al successo sul campo. A Singapore servirà un cambio di marcia, servirà nuovamente la Muguruza di Parigi. Concludere il 2016 con un successo sarebbe il viatico migliore per vivere un 2017 da regina.