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Sono le 21 a Flushing Meadows. È ora di cena, ma nessuno vuole abbandonare il proprio posto sull’Arthur Ashe, nessuno riesce a distogliere gli occhi dal rettangolo di gioco dove si sta disputando una delle partite più belle ed intriganti degli ultimi tempi. Nessuno vuol credere, o forse effettivamente non ha la lucidità necessaria per farlo, che Rafael Nadal ha vinto anche questa. È il quarto sigillo newyorkese per il maiorchino, il 19esimo Major, ma è soprattutto una delle finali più dure ed estenuanti della sua lunga e virtuosa carriera.
IL RACCONTO – Se si potesse redigere una statistica, sono sicuramente in molti ieri ad aver spento la televisione dopo venti minuti di match, ipotizzando l’ennesimo dominio di Rafa. Nonostante il precoce break di Medvedev, prontamente ripreso dall’iberico, la sensazione è che per quanto il russo sia in grandissima forma, le staordinarie capacità tattiche di Nadal finiranno per ridurre la finale di New York ad una lezione. Ed avanti di 2 set e di un break, erano già partiti i titoli di coda. Non era però d’accordo il ‘freddo’ Daniil. Non una smorfia, non un sorriso ironico, nè una racchetta scagliata al suolo. Soltanto la capacità a tratti impressionante di restare con la mente saldamente avvinghiato al match, come una cozza al suo scoglio. Il moscovita si riprende il break di svantaggio e conclude il set con un paio di games di puro delirio tennistico. Esplode l’Arthur Ashe che sembra aver dimenticato gli screzi relativi alla prima settimana di torneo, in nome della finale ritrovata.
Nadal quasi non crede ai suoi occhi e sembra preoccupato della furia tennistica del suo avversario, che continua ad inanellare vincenti, anche sotto rete, e si prende il quarto set con un rovescio lungolinea tirato con i piedi sulla sediolina del giudice di linea. Ed è proprio qui, quando Daniil ed il popolo russo avvertivano l’impresa come tangibile, che Rafa fornisce l’ennesima dimostrazione di quanto la sua forza mentale non abbia nulla di umano. Due breaks di vantaggio quasi non son sufficienti nel quinto set, perchè dall’altra parte della rete c’è un valido guerriero, ma alla fine è sempre il campione di Manacor a finire il match schiena al suolo, braccia al cielo e, per l’occasione, lacrime agli occhi.
LE LACRIME DI NADAL – Cosí emozionato non l’avevamo visto mai. Forse perchè anche lui, uno dei più grandi protagonisti della storia di questo sport, oggi credeva di non farcela. Medvedev imperversava e Rafa sembrava aver perso quello sguardo empio di adrenalina che lo ha sempre contraddistinto. Ed invece anche oggi è riuscito nell’impresa di raccogliere le residue energie per non sbagliare le scelte nei momenti finali della partita. Sarebbe interessente chiedergli come faccia a non avvertire mai la pressione, nemmeno contro il Medvedev odierno.
LO ‘SCONFITTO’ – Non sarebbe così speciale la vittoria dell’iberico se dall’altra parte della rete ci fosse stato un altro giocatore. Si, perchè oggi il moscovita ha disputato senza ombra di dubbio il match più bello della sua giovane carriera. Per larghi tratti con i piedi lontanissimi dall riga di fondo, ma tuttavia capace di rovesciare l’inerzia degli scambi ed inventarsi anche giocatore di volo, Medvedev ha dimostrato di essere uno dei principali candidati alle vette del tennis futuro. Non propriamente bellissimo da vedere, scomposto a volte, ma tremendamente solido ed efficace, con la freddezza di un veterano, non ha perso perchè ha tremato il suo braccio, ma perchè dall’altra parte delle rete c’era un marziano che ha definitivamente messo nel mirino i 20 Majors di Roger Federer.
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