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Ai microfoni di Sportface.it, Silvia Farina, ex numero 11 delle classifiche mondiali, racconta le emozioni provate nel 2003, quando si spinse fino ai quarti di finale del torneo di tennis più noto al mondo: dalla prima partita fino alla vittoria sulla forte statunitense Chanda Rubin, per essere poi eliminata a testa altissima dalla campionessa belga Kim Clijsters. L’ex giocatrice milanese, classe 1972, parla a 360 gradi di quella sua grande esperienza a Wimbledon, della “sacralità” di questo torneo dello Slam rispetto ad altre tappe del circuito, con alcune battute sul mondo attuale del tennis femminile, sia mondiale che italiano.
Wimbledon: da giocatrice, quali sono le sensazioni che un’atleta percepisce in questo torneo e quali le differenze rispetto agli altri Slam?
“Sicuramente si respira un’aria diversa: essendo uno Slam, è già notevole la differenza rispetto a tutti gli altri tornei; c’è molto più silenzio, molto più ordine. Tutti vestiti allo stesso modo, sembra quasi di giocare in un teatro, non in un’arena. Ovviamente c’è maggiore cura dei campi, sono tutti perfettamente uguali: da questo punto di vista gli altri tornei sono incomparabili. Vi è una sorta di gerarchia: le prime sedici teste di serie possono usufruire di spogliatoi personali o massaggiatrici diverse rispetto alle altre giocatrici; essendo stata tra le prime, posso dire di avere vissuto a pieno questa esperienza, mi sentivo quasi una regina. A Wimbledon è tutto più ordinato rispetto agli altri Slam: se a Parigi o New York è quasi una sorta di festa per il pubblico, c’è molta confusione tra gli spalti, la musica ad alto volume, qui l’atmosfera è molto più composta, quasi sacra… Da giocatrice, se fai qualcosa fuori luogo ti sembra quasi di rompere un equilibrio!”.
Solitamente, come ti preparavi per quest’evento? Quali erano i tornei che affrontavi?
“Inizialmente giocavo due tornei, Eastbourne e Birmingham; nella fase conclusiva della mia carriera ho deciso di giocare un solo torneo, ovvero Eastbourne, perché mi sono resa conto che fosse sufficiente: giocando due tornei arrivavo spesso scarica all’appuntamento importante, in quanto l’erba è una superficie atipica, particolare e piuttosto pesante. Facevo una preparazione abbastanza specifica, lavoravo molto sulle palle basse; penso che stare sul posto sia comunque l’allenamento migliore”.
Nel 2003, quali erano le impressioni all’inizio di quell’edizione? Quali le aspettative, da ventisettesima testa di serie del seeding?
“Ero reduce dalla semifinale di Eastbourne, dove fui eliminata dalla Martinez e dove tra l’altro avevo battuto Lindsay Davenport. Venivo da una settimana di ottimo tennis, stavo giocando molto bene, ero consapevole di potere fare buone cose. Ovviamente Wimbledon è anche subordinato a chi incontri, dunque al sorteggio: puoi incontrare una forte che sull’erba non è proprio a suo agio, o una che è 80 del mondo ma che ha invece le caratteristiche per giocare discretamente su questa superficie. Più che altro, quando hai modo di vincere partite importanti si crea una sorta di meccanismo: mi spiego meglio, appari diversa agli occhi delle altre giocatrici… C’è una sorta di rispetto e di timore. Io ero tranquilla e carica, credo di avere giocato ogni partita al massimo che potevo”.
Il successo con la statunitense Chanda Rubin, al terzo turno, è stato forse il più importante che tu abbia mai ottenuto a livello Slam: com’è andata?
“Chanda Rubin, ricordo bene, sul campo numero 1: feci una fatica immensa; partivo da sfavorita e anche lei sapeva giocare molto bene sull’erba. Credo che tra tutte le partite di quel torneo sia stata quella migliore, non solo per il risultato e per la vittoria, ma proprio per la qualità di gioco espressa”.
Nel turno successivo, sotto 1-4 nel primo set hai compiuto una gran bella rimonta ai danni dell’argentina Paola Suarez…
“Sì, nel match di ottavi: lì sulla carta ero favorita, ma ho sofferto tanto quella partita; sarei diventata la terza giocatrice italiana a raggiungere i quarti di finale a Wimbledon dopo Lucia Valerio e Laura Golarsa. Percepivo pressione, percepivo che era una grande occasione. Ha piovuto e ci siamo fermati per due giorni: hanno spostato il match su un altro campo. Sono partita molto male, ero molto tesa, ma fortunatamente sono riuscita a farcela”.
Immagino il grande rammarico dei quarti di finale: avanti di un set con una campionessa come Kim Cljisters, è stato un vero peccato…
“Lei è una delle mie bestie nere. C’è tanto rammarico, sì, perché ho giocato un primo set incredibile; poi è successa una cosa che mi ha rotto il ritmo, in quanto lei è stata punta da un’ape e ci siamo fermate. Quella pausa è stata deleteria per me, mi ha bloccato e mi ha dato modo di pensare: il pensare è bruttissimo, ti rendi conto della situazione, ho realizzato troppo che stessi vincendo. Tutti questi pensieri mi hanno un po’ frenato; merito comunque all’avversaria, non è detto che avessi vinto, ma un pizzico di rammarico è rimasto”.
Qual è stata tecnicamente, a tuo avviso, la chiave che ti ha permesso di ottenere questo grande risultato?
“Sicuramente ho saputo gestire molto bene il servizio e in risposta ho avuto un atteggiamento sempre propositivo. Stavo bene fisicamente, mi muovevo molto bene. Il rovescio slice mi ha aiutato molto: ero in possesso di mezzi che le altre giocatrici magari non avevano”.
Nel 2003 vinse Serena Williams: tredici anni dopo, chi vedi come favorita? Com’è cambiato il mondo del tennis femminile rispetto a qualche anno fa?
“Al di là di Serena Williams, mancano figure di punta: non c’è antagonismo, non ci sono particolari rivalità. Oggigiorno tutte possono vincere uno Slam. Faccio un paragone per rendere l’idea: ai miei tempi Kim Clijsters andava sempre in fondo nei tornei, specialmente negli Slam; oggi la Kvitova, che magari può essere favorita sull’erba, spesso viene eliminata all’esordio. Si aprono varchi nel tabellone: come ha dimostrato la Bartoli, con tutto il rispetto, di poter vincere uno Slam. Non c’è continuità di rendimento nel corso dell’anno per le prime giocatrici: spesso e volentieri perdono in tornei importanti, cosa che una volta accadeva raramente”.
Tra le italiane, chi può regalarci soddisfazioni?
“Credo che Roberta Vinci abbia il gioco per far bene sull’erba: bisognerà vedere anche il sorteggio, ma può fare buone cose. Anche Camila Giorgi: non viene da un momento brillante, non sta giocando bene in questo periodo, ma è capace di esprimere un buon livello di gioco. In queste occasioni conta tanto la condizione mentale, contano le partite che si sono vinte nelle ultime settimane”.
Chi è oggi Silvia Farina?
“Innanzitutto una mamma, il mio primo ruolo. Commento inoltre per SuperTennis. Ho anche un ruolo in Federazione, che mi permette di rimanere attaccata al mondo del tennis: mi occupo infatti della categoria Under 16″-