Siamo oramai prossimi all’inizio dell’edizione numero 130 di Wimbledon, sicuramente il torneo di tennis più popolare al mondo, ben conosciuto anche da chi non mastica tennis, appuntamento mistico per gli addetti ai lavori e per i puristi di questa disciplina. Nel corso dei decenni, sull’erba di Wimbledon si sono sfidati i più grandi campioni della storia, dando vita a match epici. Parlando di queste imprese, ai più giovani verranno subito alla mente i frame delle tre affermazioni di Novak Djokovic, della storica affermazione di Andy Murray nel 2013, a meno di un anno di distanza dalla conquista della medaglia d’oro in una delle edizioni più memorabili della storia dei giochi olimpici; i tifosi di Rafa Nadal penseranno ai due titoli del campione di Manacor, il primo dei quali vinto nella penombra di un centrale ancora privo di impianto d’illuminazione, impedendo a Roger Federer di conquistare il sesto alloro consecutivo. Tutti, a prescindere dai campanilismi e dalle preferenze individuali, assoceranno a Wimbledon il nome di Roger Federer, capace di vincere ben 7 titoli, di cui 5 consecutivamente. Facendo un piccolo passo indietro nella storia, non si può non tracciare il profilo di Pete Sampras, che è stato il vero dominatore di Wimbledon e del tennis mondiale nel corso degli anni 90.
Sampras nasce nello stato americano del Maryland nel 1971 ma, come si può evincere dal cognome, le sue origini sono chiaramente elleniche. All’età di 7 anni, insieme alla sua famiglia si trasferisce in California. È qui che il Sampras bambino inizia ad instaurare il suo legame con il tennis e incontra Peter Fischer, un coach e talent scout che è stato indispensabile nella formazione di colui che sarebbe diventato l’uomo dei record (almeno prima dell’avvento di Roger Federer). Fischer trasformò ben presto il gioco di Sampras, che era solito restare fermo a scambiare da fondo campo, in un gioco estremamente offensivo, basato sul serve and volley puro. Per ottimizzare questo tipo di strategia, il maestro iniziò a lavorare anche sul rovescio bimane di Pete, trasformandolo in un più classico rovescio a una mano, sicuramente più funzionale per quel tipo di gioco. Recentemente una cosa del genere la si è vista fare al coach austriaco Gunther Bresnik, che ha modificato il rovescio al suo allievo Dominic Thiem, ottenendo ottimi risultati. E’ facile evincere, anche per chi non abbia mai visto un match dell’americano, che con queste caratteristiche riusciva ad esprimersi al meglio sulle superfici veloci, sintetico e cemento, ma soprattutto sull’erba.
La superficie storica del tennis era quella che meglio si coniugava con il suo modo di interpretare la disciplina e sulla quale, per anni, divenne pressocché imbattibile. La sua storia d’amore con i Championships ebbe inizio nel 1993, dove da testa di serie numero 1, dopo il primo set perso al primo turno, fece percorso netto fino ai quarti dove si scontrò con il campione in carica André Agassi. Avanti due set a zero, rese vana la rimonta del kid di Las Vegas, battendolo al quinto. In semifinale battè Becker in tre e Courier in quattro, in una finale tutta americana.
L’anno successivo, affrontò ben 5 connazionali nei 7 incontri disputati. L’unico a impedirgli il percorso netto fu Todd Martin, che riuscì nell’impresa di strappargli un set nella semifinale. Anche Michael Chang, che pochi anni prima gli aveva inflitto un 6-1 periodico su un campo periferico del Roland Garros, nei quarti era riuscito a collezionare solo otto game. In finale, Goran Ivanisevic dovette subire l’onta di un bagel nel terzo, dopo aver perso due tie break.
Nel 1995, essendo testa di serie numero 2, venne collocato nella parte bassa del tabellone, con la parte alta guidata da André Agassi. Il californiano incarnava esattamente le caratteristiche opposte rispetto a Sampras, era un giocatore eccentrico, esibizionista, dotato di una formidabile risposta. Sampras era dotato di uno dei servizi più efficienti della storia del tennis, fu capace di mettere a segno quasi 9000 ace in carriera e, non a caso, venne soprannominato “Pistol Pete”. In campo aveva un atteggiamento pacato e signorile, salvo poi scagliare una “pistolettata” nel rettangolo di servizio opposto, generalmente quando doveva salvare una palla break. La rivalità fra questi due ha segnato la carriera di entrambi e la storia del tennis mondiale per oltre un decennio. Tuttavia, nel 1995, lo scontro a Wimbledon venne a mancare perché Agassi si arrese in semifinale a Boris Becker. Sampras invece, vinse al quinto contro Goran Ivanisevic, nella riedizione anticipata della finale dell’anno precedente. Dopo aver vinto il tie break iniziale, il biondo tedesco dovette arrendersi alla superiorità del campione del Maryland.
Nel 1996, per Sampras andò tutto secondo copione, sbarazzandosi più o meno agevolmente anche di avversari del calibro di un ancor giovane Mark Philippoussis, del talentuoso slovacco Kucera, di Cedric Pioline. Nei quarti, la vittima sacrificale sembrava essere Richard Krajicek, che a sorpresa aveva eliminato Michael Stich. Anche l’olandese si esprimeva al meglio sull’erba ed era dotato di un grande servizio, veniva spesso a rete dove solitamente faceva prevalere la sua stazza, e da ragazzino gli era stato trasformato il rovescio da bimane a una mano. Generalmente, quando si gioca “a specchio” prevale il giocatore più forte. Invece, nel clamore generale, prevalse l’olandese in 3 set. Questa sconfitta può essere considerata simile a quella subita da Rafa Nadal al Roland Garros per mano di Robin Soderling. Una sconfitta inaspettata, per mano di un giocatore valido che ha sorpreso il favorito in una giornata non particolarmente positiva e che ha bloccato solo temporaneamente il dominio nel torneo prediletto.
Nel 1997 Sampras si riprese immediatamente il titolo ai Championships. L’incontro più difficile fu quello dei quarti contro il ceco Petr Korda. Sampras, avanti due set a zero, perse l’occasione di chiudere in tre perdendo un tie break fiume e venne trascinato al quinto dove si impose per 6-4. Becker, Woodbridge e Pioline, non riuscirono ad arginare la furia di un re spodestato.
Nel 1998 Pistol Pete fece percorso netto fino alla semifinale, nella quale concesse solo un set al padrone di casa Tim Henman, spegnendo i sogni di gloria della “Henman hill”. Nella finale contro il croato Ivanisevic, riedizione di quella a senso unico del 1994, Sampras rischiò seriamente di andare sotto due set a zero. Una volta impostosi al tie-break del secondo per 11-9, riuscì poi a far prevalere la sua superiorità, chiudendo 6-2 al quinto.
Nell’ultima edizione degli anni 90, l’uomo dei record fece percorso netto fino ai quarti, dove beneficiò del ritiro di Mark Philippoussis, che conduceva un set a zero. Perse il primo set anche da Henman, ma poi finì come 12 mesi prima. Nella finale affrontò il suo storico rivale André Agassi, battendolo in tre set. Da sottolineare che, nella rivalità tendenzialmente equilibrata tra Pistol Pete e il kid di Las Vegas, il primo ha avuto quasi sempre la meglio nei tornei del grande slam.
Nel primo Wimbledon degli anni 2000, Sampras continuò il suo dominio, favorito ulteriormente dal tabellone che non gli mise davanti nemmeno una testa di serie, tranne in finale. Addirittura in semifinale si trovò di fronte il bielorusso Vladimir Volckov, che partendo dalle qualificazioni arrivò nei last 4 emulando John Mc Enroe. Dopo aver dato tre set a zero al bielorusso, Sampras battè l’australiano Pat Rafter, a cui concesse solo il tie-break del primo set. Fu l’ultimo titolo per il campionissimo originario di Sparta.
Nel 2001, infatti, dovette arrendersi in 5 set a un 19enne svizzero, Roger Federer, che si era nutrito del mito Sampras, così come Pete aveva fatto con Rod Laver. Il maestro elvetico è riuscito a superare la maggior parte dei record di Sampras, anche quelli che sembravano ineguagliabili come le 286 settimane in vetta al ranking mondiale. Il record dei sette trionfi a Wimbledon è stato però soltanto eguagliato. Riuscirà Roger Federer a batterlo in questa edizione ormai alle porte? Lo scopriremo presto. Indipendentemente dai record, Pete Sampras rimane uno dei tennisti più amati della storia di questo sport, un uomo elegante, posato, ma anche riconoscente e generoso. Riconoscente, perché difese e scagionò, almeno per quanto riguarda le vicende personali, il suo maestro storico accusato di pedofilia. Generoso, perché crollò sul terreno di gioco a Mosca, solo dopo aver trasformato il match point contro Andrej Chesnokov nella finale di Coppa Davis del 1995. Fu trascinato negli spogliatoi a braccio, nello stupore generale. Ecco perché Pete Sampras è e resterà per sempre un mito per l’All England Club e per la storia del tennis.