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“Esistono tre Goran: quello buono e calmo, quello cattivo e nervoso, e il Goran 113 da chiamare nei momenti di emergenza per mettere d’accordo gli altri due!”
La finale di Wimbledon edizione 2001 è stata forse la sintesi di una carriera e il giusto riconoscimento per Goran Ivanisevic, uno dei campioni più rappresentativi di un’era del tennis, gli anni ’90, contraddistinta dai grandi specialisti delle diverse superfici. Se da un lato la terra vide Sergi Bruguera cogliere due successi nello Slam parigino, dall’altro i prati di Church Road fino a quell’anno avevano sottratto spesso sul più bello il trionfo che uno specialista delle superfici veloci come il croato di Spalato avrebbe meritato.
Ma se a volte il destino è beffardo, le qualità tecniche ma soprattutto l’abnegazione fanno quadrare i conti. Nella stagione che probabilmente stava segnando alla soglia dei 30 anni il suo declino definitivo, condito da diverse eliminazioni al primo turno e da una spalla sempre più malconcia, Ivanisevic è riuscito ad inscenare il più imprevedibile dei coup de theatre.
“Gorane” arrivava ai Championships con un ranking di numero 125 del mondo, reduce da un’inopinata sconfitta all’esordio con Cristiano Caratti nel match di esordio al torneo del Queen’s, un must per chi intende preparare al meglio lo Slam su erba. Ciò nonostante gli organizzatori dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club, in virtù delle tre finali (perse) già disputate, gli consegnarono una wild card che aveva più il sapore di un dolce commiato da un pubblico che in fondo l’ha sempre amato, con quel carattere bizzoso e scostante così diverso dal british mood.
Il tabellone di Wimbledon 2001 si presentava per Ivanisevic più arduo che mai, dovendo affrontare già dal secondo turno l’ex numero 1 del mondo Carlos Moya, che per sua fortuna non ha mai pascolato allegramente sui campi in erba. Al terzo round gli sarebbe capitato Andy Roddick, che non più tardi di due anni conquisterà gli US Open e toccherà il vertice della classifica mondiale. Ma per fortuna di Goran, il ragazzotto del Nebraska è ancora grezzo e dopo 4 set tiratissimi il croato approderà agli ottavi di finale, dove con un’insospettabile maturità si sbarazzerà in 3 set dello specialista Greg Rusedski, anch’egli ex top 10.
Il vero capolavoro inizia dai quarti di finale, dove il croato si trova di fronte il numero 3 del mondo Marat Safin, regolato 76 75 36 76. La semifinale con l’inglese Tim Henman è per eccellenza il confronto tra i due eterni aspiranti al titolo dei Championships. E’ stato probabilmente il match in cui Ivanisevic è stato più vicino alla sconfitta, ma sotto di due set a uno la pioggia gli è venuta in soccorso, e Goran è riuscito a venire a capo della partita al quinto set dopo 3 giorni di battaglia causa i diversi rinvii, con match point chiuso nella domenica in cui originariamente era prevista la finale.
Per l’edizione di Wimbledon 2001 gli organizzatori sono quindi stati costretti a programmare la finale nel giorno di lunedì, con un’atmosfera surreale, dato che i biglietti sono stati venduti all’ultimo momento, quindi acquistati prevalentemente dai più appassionati sostenitori dei due finalisti.
Ultimo ostacolo che separava Ivanisevic dalla gloria e dall’Olimpo dei trionfatori dei Championships era il numero 5 del ranking Pat Rafter, anche lui reduce da una finale persa con Sampras, quindi motivatissimo a vincere per la prima volta lo Slam londinese. In un’atmosfera da stadio il confronto come prevedibile vedeva da un lato i servizi di Ivanisevic e dall’altro le acrobatiche volée dell’australiano a farla da padrona.
Il croato riesce subito a scrollarsi di dosso la tensione e si aggiudica 6-3 il primo parziale con buona parte del centrale di Wimbledon tappezzato di bandiere a scacchi bianco e rosse. Gli aussie rinsaviscono nel secondo set con Rafter che si porta avanti di un break che gli consente di pareggiare i conti. Terzo e quarto set seguono di fatto il canovaccio dei due precedenti, 6-3 per il croato, 6-2 per l’australiano.
E come nei migliori film gialli, il match, che si risolve al quinto e decisivo set, non trova un vero e proprio padrone e il long set non fa che acuire la tensione e l’incertezza fino al 7 pari quando sul servizio di Rafter, Ivanisevic indovina due risposte fulminanti che gli permettono di portare a casa il break. Sull’8-7 Goran serve per l’incontro ma il servizio comincia a balbettare, due doppi falli nelle prime due palle match, nella terza l’australiano mette a segno uno spettacolare lob di rovescio. Il quarto matchpoint è quello decisivo, seconda di servizio del croato e risposta affossata in rete.
Di lì il tripudio con Ivanisevic prima per terra, in lacrime e poi, come nella migliore delle tradizioni (da Pat Cash in poi), sale nel proprio box ad abbracciare il suo angolo e in particolare papà Srđan, fresco di tre by-pass che, a detta di Goran, sarebbe morto di crepacuore se anche stavolta suo figlio avesse fallito l’ultimo appuntamento più importante della carriera. È tutto vero. Dopo tre finali e tredici partecipazioni totali, Ivanisevic conquista il trofeo più ambito e scrive una delle pagine più belle della storia di questo meraviglioso torneo.