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“Solo Sampras e Federer possono dire di sentirsi a casa tra i giardini di Wimbledon, però ogni volta che entro in quel posto magico, è una sensazione bellissima e difficile da descrivere”.
Con queste parole, Davide Sanguinetti, racconta ai microfoni di Sportface.it, l’orgoglio per quello che è riuscito a compiere nel tempio del tennis, a Wimbledon, ultimo italiano ad issarsi fino ai quarti di finale del singolare maschile nel 1998. In un torneo, non ce ne vogliano né gli dei del tennis né la regina, storicamente indigesto ai colori azzurri. La lista infatti non è lunga, oltre a Sanguinetti, ex Davisman azzurro, solo Nicola Pietrangeli (che si spinse poi fino in semifinale nel 1960, quando perse da Rod Laver) e Adriano Panatta sono riusciti a raggiungere questo risultato.
“Non è stato affatto un torneo facile. La partita che mi ricordo più di tutte è quella di ottavi di finale contro Pato (Francisco, ndr) Clavet. Eravamo sul campo 18, quello della maratona Isner–Mahut, vinsi in tre set, fantastico. Poi ricordo anche il match con Volchkov, nel terzo turno, che era qualificato ma era un gran giocatore da erba, vinsi in cinque set 6-1 al quinto, con 6 o 7 interruzioni per pioggia… era completamente impazzito dopo la settima interruzione, tipico russo. Lui poi due anni dopo fece semifinale partendo sempre dalle qualificazioni. Al primo turno, invece, fu una grande emozione, era uno dei miei primi Wimbledon, persi il primo set al tie-break e poi vinsi il match. Il mio avversario (il belga Van Herck, ndr) cadde, si fece male al coccige e si ritirò a inizio quarto set. Beh, sull’erba si cade eh…
Quell’anno ebbi la fortuna che Clavet fece fuori Marcelo Rios, che era nella mia sezione di tabellone. Anche se Rios non era un grandissimo specialista… (al secondo turno Davide battè in tre comodi set l’argentino Squillari, ndr).
Poi nei quarti con Krajicek non ci fu quasi storia, lui sì che era un grande giocatore da erba – qui esce anche l’umiltà di Sanguinetti, a tutt’oggi rassegnato al fatto che quel match fosse quasi impossibile. Perse dall’olandese (già campione ai Championships due anni prima) in tre rapidi set 6-2 6-3 6-4, – al servizio non si rispondeva quasi mai, a rete fu impeccabile, e quel back non si alzava mai…” – con l’inevitabile rimando a un’erba sicuramente diversa da quella attuale, più rapida e meno adatta ai palleggiatori odierni che la calpestano, maltrattandola, due metri dietro la riga. “Ho parlato con uno dei giardinieri di Wimbledon e mi ha detto che ora l’erba è intrecciata, una volta andava solo per un verso, non so se verso est o ovest, mentre ora l’hanno intrecciata permettendo un rimbalzo di palla più alto – la conferma tecnica di Davide.
“Poi Krajicek quell’anno perse da Ivanisevic un’incredibile battaglia al quinto, 15-13, che a sua volta perse da Sampras in finale, ma va bene, quegli anni vinceva sempre “Pistol Pete””.
Il ricordo di quell’edizione di Wimbledon compie quest’anno la maggiore età, per molti è acqua passata, passatissima, non per Davide Sanguinetti e non per molti addetti ai lavori: “io ho i miei ricordi e me li tengo stretti, molti addetti ai lavori mi dicono – Mah, guarda che tu qui potresti ancora giocare e vincere qualcosina – questo mi fa senz’altro sorridere, però mi piace che si ricordino ancora di questo torneo e di cosa ho fatto.”
È ovvio, non essere iscritto nell’albo d’oro di quello che è il torneo di tennis più famoso al mondo, non è la stessa cosa. Nella storia non rimangono i secondi, figuriamoci i quinti, sesti, o gli ottavi (i giocatori che hanno perso ai quarti di finale, insomma), però, specialmente per i nostri colori che come detto hanno sempre sofferto a Church Road, quella di Davide Sanguinetti, ora possiamo dirlo, resta un’impresa. Giocare uno Slam non è cosa da poco, vincere partite in uno Slam è un traguardo importante nella vita di un tennista, ma giocare nella seconda settimana di Wimbledon è una sensazione che solo pochi sono riusciti a provare, lì, da campione tra i campioni: “nella seconda settimana di Wimbledon si respira un’aria diversa, da brividi. Ti senti più sicuro di te, poi specialmente a Wimbledon, un torneo così, è una cosa che ti rimane dentro. Io ogni volta che entro in quel posto, non dico che mi sento a casa perché solo Sampras e Federer possono dirlo, però è una bella sensazione diciamo, che ora faccio anche fatica a descrivere”.
Dal racconto di Davide traspare quel velo di nostalgia, per i più religiosi potrebbe sembrare un rapporto, quello tra lui e le mura dei Championships, simile a quello di un pellegrino che raggiunge il santuario da sempre venerato. Wimbledon è anche questo, una fede, non è come gli altri tornei.
Davide Sanguinetti nella sua carriera ha anche vinto due titoli ATP, uno a Milano nel 2002 in finale proprio su Roger Federer, uno che le chiavi del Campo Centrale di Wimbledon le ha tenute in mano a lungo: “molti dicono che Federer era ancora giovane, in effetti era ancora giovane, però aveva già battuto Sampras a Wimbledon e l’anno dopo avrebbe iniziato la sua striscia vincente a Londra, insomma era lui. Per me è comunque motivo di orgoglio”. Davide Sanguinetti è iscritto così a quella cerchia ristretta di giocatori capaci di battere Roger Federer in una finale, 17 tennisti, oltre a lui (Nadal, Djokovic, Hewitt, Agassi, Del Potro, Nalbandian tra gli altri…). E l’altro titolo l’ha vinto a Delray Beach sempre nel 2002, su Andy Roddick, uno che invece non è mai riuscito a battere Roger in una finale, andandoci solo molto vicino, pensate un po’, proprio a Wimbledon nel 2009 (quando lo svizzero si laureò con il sesto alloro ai Championships).
Dieci anni dopo la cavalcata londinese, nel 2008, Davide Sanguinetti dichiara il suo ritiro dall’attività agonistica a 36 anni: “ero a Caltanissetta, dopo una sconfitta decisi di ritirarmi, avevo subito un intervento al ginocchio, non ce la facevo più a giocare ho dichiarato lo stop”.
Il riferimento ad eventuali rimpianti nella carriera da tennista è d’obbligo, rimpianti che come lui conferma, ci sono sempre: “avrei dovuto essere un po’ più professionale nella gestione del mio fisico, il numero di tornei. Avessi avuto Claudio Pistolesi (coach principale della carriera di Sanguinetti, ndr) con l’esperienza di ora, penso che avrei fatto molto meglio. Avesse avuto Claudio l’esperienza di adesso in quel momento, penso avremmo fatto qualcosa in più. Diamo la colpa anche a lui dai (ride, ndr)”.
Ultimo giocatore italiano ai quarti di Wimbledon e, probabilmente, ultimo italiano “da veloce”, con l’indole da attaccante e il tipo di gioco che meglio si adattava alle superfici rapide più che alla terra battuta (come dimostrano anche i suoi successi), Davide Sanguinetti è oggi coach internazionale: “non ho iniziato subito, volevo disintossicarmi un po’ dal tennis e da qualche aereo, anche se ora ne prendo più di prima… forse era meglio smettere del tutto!” (Ride…ndr). Qui racconta anche le differenze: “da coach poi ci sono più tensioni, da giocatore almeno colpivi la palla, ora devi stare lì, da fuori è molto più difficile. Devi sempre essere positivo, poi quando perde è colpa tua, quando vince è merito suo… così è lo sport”.
Sanguinetti, giocatore prima e allenatore poi, attualmente è al fianco del giocatore cinese Di Wu con il quale collabora da un anno, e che tra gli altri ha allenato Vince Spadea, Go Soeda e la russa Dinara Safina. Un altro esempio di fuga di allenatori all’estero, fenomeno noto nel tennis ma soprattutto nello sport italiano.
Però, come dichiarato in passato, un giorno gli piacerebbe fare il capitano di Coppa Davis.
Coppa Davis ormai vicina e sul quale appuntamento pesarese Davide vuole essere ottimista “vedo gli italiani leggermente favoriti, ma incrociamo le dita…”.
Attualmente un po’ lontano quindi dal tennis italiano, ma con un occhio comunque vigile sul tennis di casa nostra, il viareggino spende belle parole sul giovane azzurro Matteo Donati “non vedo benissimo il futuro del nostro tennis, mi piace Matteo Donati, lo vedo in ascesa, mentre per quanto riguarda gli altri non vedo chi possa prendere il posto dei nostri eroi”.
Eroi che mancano al nostro tennis, imprese eroiche di cui abbiamo tanto bisogno, come in quel 1998, dove Davide Sanguinetti compì un’impresa, bella quanto inaspettata, quanto al momento irripetibile: ai quarti di finale di Wimbledon, lì tra i giganti del tennis.