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La vita è fatta di gioie e dolori, vittorie e sconfitte. La vita sa essere meravigliosa, ma anche crudele, riesce a trascinarti nel più roseo dei paradisi e a sbatterti con arroganza nel più profondo degli inferni. La vita è strana, piena di misteri, difficile. Bisogna avere una grande forza di volontà per riuscire ad affrontare tutto senza abbattersi, superare gli ostacoli con determinazione e umiltà. Ci vuole coraggio. E il mondo in generale, spesso e volentieri, tende a rispecchiarsi in maniera quasi cristallina nel rifugio più sicuro, il rifugio più spettacolare, il rifugio che accompagna milioni di persone giorno dopo giorno: lo sport. Anche lo sport è strano, anche lui tende a diventare vita, e alcune volte riesce a fare anche di più.
Perché ci sono atleti che nascono con il solo obiettivo di vincere, altri che iniziano a sperarci strada facendo, altri che per strada si perdono. Ci sono atleti imbattibili, atleti fragili, atleti leggendari. Riconoscere chi ha fatto la storia dello sport, in genere, è più difficile di quanto possa sembrare, ma per alcuni soggetti il discorso cambia. Uno di questi soggetti, che oggi spegne 30 candeline, è caduto e si è rialzato migliaia di volte senza mai arrendersi, senza mai mollare un centimetro, anche quando tutto sembrava finito, anche quando la carriera sembrava agli sgoccioli. Un ragazzo umile, vincente, talentuoso, forte, fisico, che con tutte le armi a sua disposizione ha cambiato le sorti del tennis e anche quelle della sua vita, anno dopo anno, torneo dopo torneo. Un ragazzo che la differenza l’ha sempre fatta e che, immancabilmente, continuerà a farla per sempre. Quando nasce, nel 1986 a Manacor (Maiorca), Ivan Lendl ha da poco vinto il suo secondo Roland Garros e lo zio, Miguel Angel, da poco intrapreso la carriera di calciatore nella squadra di cui è tifoso. Rafael Nadal Parera, figlio di Sebastian e Ana Maria, è un bambino timido. Nasce tra lo sport, ma non è il solo calcio a incuriosirlo. L’altro zio, Toni, è un ex tennista professionista con una carriera poco fortunata alle spalle che inizia a prendere il nipote sotto la sua ala, a mettergli una racchetta in mano all’età di tre anni e a dirgli: “Ok, puoi diventare un campione se lo vuoi.”
Pratica calcio e tennis con la stessa dedizione, con la stessa passione, con la stessa voglia. Dimostra una propensione verso l’agonismo sin dalla tenera età, è prematuro in qualsiasi cosa. Sa palleggiare, scartare gli avversari, indirizzare il pallone verso la porta e allo stesso tempo pennellare il campo da tennis. Lo zio Toni inizia a vedere un grande potenziale nel nipote, così intensifica gli allenamenti e all’età di 8 anni lo porta a cambiare mano. Rafa, prima di essere un tennista mancino, è un ragazzo che per scrivere e mangiare usa la mano destra. E’ la prima svolta nella carriera del giovane Nadal, che ad un certo punto sceglie il tennis. Non è tutto rose e fiori: ci sono le prime vittorie, si, ma ci sono anche le prime sconfitte e le prime rivalità, c’è Richard Gasquet, ci sono i viaggi, c’è la scuola.
Nadal non vive una vera e propria carriera Juniores per svariati motivi. Toni non cede alle pressioni della Federazione e non si sposta a Barcellona, rimanendo fortemente convinto dei suoi metodi: “Non credo ci sia bisogno di andare a Barcellona o a New York per diventare forti, Rafa può rimanere a casa e continuare a fare la sua vita” – avrebbe detto. Non si sbagliava, anche se quelli sono anni di vero e proprio sacrificio.
IL GRANDE PASSO – “Dovevo giocare un’esibizione a Maiorca con Becker. Mezz’ora prima della partita, Boris si nega, per una bua. ‘Giocherai con un ragazzino quattordicenne, l’unico tennista disponibil’ mi dicono. Vado in campo preoccupato di fargli fare qualche game, perché magari non mi si metta a piangere. Perdo facile, in due set, e solo allora gli domando come si chiami: Rafael Nadal” (Pat Cash). Dopo il curioso episodio, Nadal si rivela fondamentale per la vittoria della Spagna ai Jeu des Iles e l’anno dopo raggiunge le semifinali del torneo di Wimbledon in uno dei rarissimi eventi a cui prende parte tra i Juniores. Perché già nello stesso anno vince il suo primo match a livello ATP (diventando il più giovane a farlo) e nello stesso anno chiude alla posizione numero 200 del ranking mondiale.
Sono tante le cose che sorprendono del primo Nadal. Tante. E’ appena un ragazzino quando vince il suo primo torneo Challenger (a Barletta), quando batte Albert Costa a Monte-Carlo, quando entra tra i primi 100 giocatori del mondo, quando raggiunge il terzo turno a Wimbledon. E’ solo il 2003. In campo è una macchina da guerra, una perfetta macchina da guerra. Inscalfibile, brutale, incontrastabile. Con un fisico potente e un tennis mai visto, inizia piano piano a dominare sulla sua superficie preferita: la terra battuta. E Inizia anche a farsi notare sulle altre superfici. Raggiunge la prima finale in carriera ad Auckland, nel 2004, e fa il suo esordio in Davis qualche mese dopo. Nella sfida di primo turno contro la Repubblica Ceca fa il suo esordio, ma perde contro Jiri Novak.
LA SVOLTA – E’ un chiaro punto di svolta nella carriera del maiorchino, che due giorni dopo batte Radek Stepanek e regala il punto della vittoria alla sua squadra. I dubbi rimangono, ma qualche settimana dopo arriva il primo successo ai danni Roger Federer, a Miami. Da testa di serie numero 32 del torneo si presenta al terzo turno quasi come uno sconosciuto, con una canottiera rossa e un pantaloncino bianco. E’ ancora un ragazzino, si, ma la forza con la quale inizia a scardinare la difesa dell’avversario colpo dopo colpo, a disegnare il campo, a spingere in maniera incredibile e a sballottare da una parte e dall’altra il numero uno del mondo lascia tutti di stucco. Roger è incredulo, il tabellone luminoso dice 6-3 6-3, il centrale di Key Biscayne vede in Rafael Nadal un campione. La Florida non sa di aver assistito al primo atto della più bella rivalità di sempre, infatti deve aspettare esattamente un anno per ritrovare i due. Questa volta, però, in finale. Nadal, nel frattempo, vince a Sopot il suo primo titolo ATP e trascina la Spagna alla seconda Davis Cup della sua storia, con un’incredibile vittoria contro Andy Roddick. Quando si ritrovano a Miami, per giocare la loro prima finale, Nadal e Federer sono già più consapevoli. La spunta l’elvetico (dopo aver rimontato due set di svantaggio) ma le sensazioni sono diverse.
IL DOMINIO – Diventa, nel giro di pochi mesi, il Re della terra battuta. Vince tutto quello che c’è da vincere, vola da un lato all’altro del campo sfoderando un tennis potente, lontano dai canoni di Federer e ancor più lontano dai canoni dei suoi predecessori. Efficace e spettacolare, temerario e predatore. Si consacra tra Monte-Carlo e Roma, grazie ad incredibili doti da lottatore e a partite epiche dalla durata disumana, e si presenta a Parigi come favorito principale. Dà spettacolo, in semifinale supera Roger Federer e in finale si sbarazza in quattro set di Mariano Puerta, diventando il terzo giocatore della storia a vincere uno Slam al primo colpo. E’ l’anno degli 11 titoli, è anche l’anno della seconda posizione mondiale, l’anno dei record, l’anno dei pinocchietti, l’anno in cui si sciolgono quasi tutti i dubbi, l’anno in cui il tennis inizia ad avere solamente due padroni. La Golden Era del tennis inizia così.
GLI INFORTUNI, DJOKOVIC, I 30 ANNI – Vincitore di tutte le prove dello Slam, della medaglia d’oro in singolare, di 28 Masters 1000, Rafael Nadal passa anche 142 al primo posto del ranking. Ha fatto la storia al Roland Garros, si è tolto lo sfizio di trionfare a Wimbledon in una delle più belle finali di sempre, ha dominato anche i campi di Flushing Meadows e agli Australian Open è più volte andato vicino a raddoppiare il successo ottenuto nel 2009. Ha dimostrato di essere un giocatore completo, ha dimostrato di poter vincere su ogni superficie e contro ogni avversario, sempre con la stessa faccia, sempre con le stesse motivazioni. Gli infortuni hanno segnato la carriera di uno dei giocatori più vincenti della storia del tennis in maniera indelebile, ma hanno allo stesso tempo messo un punto esclamativo sulle sue capacità di lottatore (dentro e fuori dal campo). Gladiatore e cavaliere. La sconfitta contro Robin Soderling a Parigi, immediatamente etichettata, non ha fatto altro che dare ancora più stimoli. Il 2010 di Nadal, da molti considerato il suo anno migliore, non è casuale. Nemmeno il 2013 è un anno casuale, così non sorprende sia arrivato dopo la sconfitta al secondo turno contro Lukas Rosol a Wimbledon e non sorprende sia arrivato dopo uno stop di 8 mesi. L’altro grande ostacolo del maiorchino, più di Roger Federer, è stato (ed è) Novak Djokovic. Ma questo si sa. La semifinale a Parigi del 2013, che ha fatto da preludio alla vittoria in finale l’anno successivo e alla sconfitta in quarti di finale nel 2015, ha forse rappresentato un altro punto di svolta nella carriera di quel ragazzino di Manacor che a 10 anni non sapeva se giocare a calcio o a tennis. Ha rappresentato l’apice di una rivalità diventata a senso unico, una rivalità simile a quella con Roger Federer. A parti inverse, però. Rafael Nadal non è più stato in grado di reagire agli infortuni, almeno non c’è riuscito per come ci aveva abituato a farlo, è diventato fragile e ha iniziato a cedere. Tutti hanno capito come comportarsi contro, hanno capito che non è mai finita, hanno capito che la sudditanza psicologica ha smesso di esserci, hanno capito che non è impossibile. I risultati degli ultimi due anni hanno infatti parlato di un Nadal mai oltre i quarti di finale in un torneo dello Slam, di un Nadal sempre perdente contro Djokovic, di un Nadal che solamente a Monte-Carlo è ritornato a splendere.
Ma tutti i nodi, prima o poi, vengono al pettine. L’impressione è quella che l’ex numero uno del mondo abbia ancora qualcosa da raccontare a questo sport. Malgrado l’ennesimo infortunio compromettente, malgrado l’avvento della next-gen, malgrado il dominio di Djokovic e malgrado l’età. Rafael Nadal è nato come un lottatore, morirà come un lottatore e verrà ricordato come un lottatore. E verrà ricordato anche come uno dei massimi esponenti del tennis mondiale, verrà ricordato come un ragazzino pieno di tic che correva da una parte e dell’altra dal campo senza mai arrendersi, verrà ricordato come un giocatore in grado di aggiungere anno dopo anno un nuovo elemento al proprio gioco, un giocatore competitivo, un giocatore rumoroso, selvaggio, sconsiderato, fondamentalmente ingiocabile nei suoi periodi di massimo splendore. Rafael Nadal sarà per sempre ricordato come un bambino dal cuore grande, un bambino diventato uomo e poi leggenda, un bambino che ancora oggi sogna ad occhi aperti e che fa di tutto per migliorarsi anche quando in realtà non ne avrebbe bisogno. Ma spingersi oltre ogni limite è il pane quotidiano degli eroi E Rafa, un eroe, non smetterà mai di esserlo.