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In questi giorni si stanno sprecando sentenze di ogni tipo per definire il pessimo risultato del tennis italiano al Roland Garros 2016. Da “débacle” a “caporetto”, sino a “disastro totale” e “figuraccia”. E’ innegabile che le tante sconfitte all’esordio, alcune prevedibili, altre meno, siano una bruttissima notizia per l’Italtennis, ma è bene fare una distinzione importante tra movimento tennistico italiano e professionisti nostrani.
Non è sostanzialmente corretto, infatti, affermare che il Roland Garros rappresenti una sconfitta del tennis italiano e del nostro movimento. Il Major parigino certifica invece la sconfitta dei giocatori italiani e l’innegabili crisi di alcuni di loro. Questo è un dato di fatto, poiché le sconfitte di Fabio Fognini, Sara Errani & co. non sono state certamente causate dal Centro Tecnico Federale di Tirrenia o dai centri Tecnici Permanenti, Periferici o di Aggregazione Provinciale. Questo non vuol dire che il movimento tennistico italiano sia in salute, ma nemmeno il contrario. Le sconfitte azzurre a Parigi vanno infatti analizzate singolarmente, giocatore dopo giocatore, come è consuetudine fare in uno sport professionistico individuale. E le responsabilità sono solamente dei giocatori, così come, ovviamente, i meriti della Karin Knapp (il suo competente staff) di turno.
Entriamo nel dettaglio. I tennisti italiani che hanno preso parte al Roland Garros 2016 sono professionisti affermati, alcuni da anni nel circuito, altri alle prime apparizione nel gotha di questo sport. Andreas Seppi è rientrato da poco da un problema fisico importante, che ne sta limitando ormai da mesi la possibilità di allenarsi con continuità. A prescindere dalla sconfitta con Ernests Gulbis, criticare un giocatore che chiude tra i Top-100 da 11 anni e che a Parigi ha disputato il suo 44esimo Slam consecutivo è pura fantascienza. L’altoatesino è semplicemente un esempio di giocatore non in gran forma, che potrebbe essere accomunato a Simone Bolelli e anche a Camila Giorgi, che comunque un match, seppur semplice, lo ha portato a casa. Thomas Fabbiano e Marco Cecchinato, entrambi al primo Roland Garros, hanno giocato due buoni match contro pronostico, mentre Francesca Schiavone e Paolo Lorenzi hanno messo in campo prestazioni non all’altezza contro buoni avversari. A deludere maggiormente sono stati Fabio Fognini, Sara Errani e Roberta Vinci che, per diversi motivi, non sono riusciti a giocare, tecnicamente e mentalmente, match minimamente vicini alla sufficienza. Ma questo è un loro problema, una eventuale crisi che i professionisti stessi devono affrontare con il proprio staff, viaggiando tra i pensieri negativi per uscirne, speriamo, più forti di prima. Il concetto, dunque, è piuttosto chiaro, ma è bene ripeterlo. La débalce parigina non è un problema di movimento tennistico italiano ma di giocatori azzurri che, in questa occasione, non sono stati all’altezza, fuori forma, un po’ sfortunati o poco motivati.
Il movimento tennistico italiano è dunque in piena salute? Il lungo ragionamento precedente non deve trarre in inganno. Il Centro Tecnico Federale di Tirrenia, obiettivamente, non ha funzionato secondo le aspettative per quanto concerne la costruzione/formazione di giocatori pronti a entrare nel mondo del professionismo, mentre è stato molto utile come centro di allenamento per professionisti, come ad esempio Simone Bolelli. La colpa, quindi, che va imputata al movimento italiano, è lo scarso ricambio generazionale che, nel maschile e soprattutto nel femminile, tarda ad arrivare. La débacle non è la sconfitta di un Paolino Lorenzi fuori forma, ma la mancanza di un paio di ventenni, neo Top-100, pronti a dargli il cambio nel circuito e in nazionale. La “caporetto” azzurra non è Sara Errani che, in totale sfiducia, non porta a casa il proprio match, ma la totale assenza di giocatrici azzurre nelle qualificazioni.
Quali sono dunque le conclusioni? Quali le proposte? Il primo problema è la posizione del Centro Tecnico Federale di Tirrenia, che si trova in una sorta di “No Man’s Land”. La soluzione, semplice a dirsi ma molto complicata da realizzare, sarebbe quella di costruire un centro alle porte di una grande metropoli come Roma. E, perché no, stimolare i tecnici (cercandone e costruendone sempre di migliori) con qualche euro in più (e una posizione più “allettante”). Non si pensi però che non vi siano esperimenti in atto che stanno funzionando, ma che porteranno risultati non immediati. Da un paio di anni la Federazione Italiana Tennis sta provando a colmare la grande lacuna che vedeva sostanzialmente abbandonati i giovani ragazzi che, terminata la carriera giovanile, dovevano affrontare la prima fase della carriera professionistica. Così è nato il “Progetto Over 18” che vede impegnati in prima fila coach di alto livello come Umberto Rianna (con supporto di Giorgio Galimberti) per il settore maschile e Tathiana Garbin (con supporto di Serra Zanetti e Camerin) per quello femminile. Alcune problematiche sono state affrontate, altre meno. Alcuni risultati si iniziando ad intravedere (Sonego, Eremin), altri meno. Ma da questo punto di vista una strada interessante è stata tracciata. Non si può pensare che in due anni si possano recuperare generazioni su generazioni di tennisti, ma tra un paio di stagioni si potrà tracciare un primo bilancio. Bisognava pensarci prima? Assolutamente si. Tornando ai team privati, in Italia ve ne sono alcuni di altissimo profilo che, negli anni, hanno costruito giocatori o, comunque, ne hanno accompagnato la scalata nel ranking Atp o Wta. Ma probabilmente manca qualcosa anche da questo punto di vista, che dovrebbe prevedere un confronto ancor maggiore tra i vari staff, una motivazione sempre maggiore.
Le responsabilità di una tale situazione vanno anche suddivise, in conclusione, anche tra gli stessi giocatori, perché le motivazioni per sfondare in questo sport devono essere ben sopra la media, anche se si è dotati di enorme talento. Fino a qualche anno fa giocando bene, senza allenarsi in maniera iper professionale, poteva portare un giocatore anche tra i primi 150-200 giocatori del mondo. Pensare che ciò possa accadere anche oggi è assolutamente impossibile, è pura fantascienza. Il tennis professionistico attuale è raggiungibile solamente con un mix virtuoso di tecnica, tattica, fisico e mente. Anche la mancanza di uno solo di questi requisiti non permette di avvicinare il gotha. Quel gotha del tennis che speriamo possa essere raggiunto, nei prossimi anni, da alcuni ragazzi dalle indubbie qualità che dovranno però avere una guida seria e appassionata, una voglia di emergere degna di nota e, come sempre in questi casi, una buona dose di fortuna.