Infine è arrivata la sentenza sul caso di doping che più di ogni altro ha fatto tremare il mondo dello sport in questo 2016: Maria Sharapova è stata condannata a due anni di esclusione dalle competizioni del circuito ITF e WTA. Per questo un suo ritorno non potrà avvenire prima del febbraio 2018, dopo gli Australian Open, a meno di una riduzione della pena in appello.
Due anni, nonostante le apparenze, sono un ottimo risultato per la tennista russa, poiché l’ITF aveva chiesto quattro anni di sospensione e nella maggior parte degli sport olimpici quella è la sospensione più comune per i casi di doping. La soddisfazione parrebbe ancora più giustificata dopo una lettura degli atti del processo, pubblicati dal sito della ITF, da cui sia la ex numero uno del mondo che il suo agente Max Eisenbud escono come quantomeno ingenui.
Nonostante la giustificazione della mancata vacanza ai Caraibi come ragione per non aver controllato la lista dei prodotti proibiti in quest’ultimo anno assomigli alla famosa “il cane mi ha mangiato i compiti”, la seconda reazione dopo il quasi divertente sfogliare degli atti è quella di diffida e anche un po’ di fastidio. Lungi da me giustificare quella massa di supporter della Sharapova che hanno inondato di messaggi osceni l’americana di origini uzbeke Varvara Lepchenko, ma la gestione dei due casi a livello mediatico fa insorgere diverse domande.
La prima è sul perché i due casi sono stati trattati con due modalità così dissimili: la Lepchenko, anch’essa trovata positiva al meldonium, ha scontato i suoi mesi di sospensione lontano dai campi da tennis, senza che motivazione fosse data, fino a che in Russia qualcuno non ne ha diffuso la notizia. Non abbiamo certezza che l’ITF non avrebbe fatto lo stesso anche con la Sharapova qualora questa non avesse scelto di tenere una conferenza stampa in cui ammetteva le sue colpe, ma può questo giustificare la differenza di toni tra i due casi? Il caso Lepchenko ha in qualche modo validato la teoria per cui nel tennis si sia lavato molto spesso i panni sporchi in casa propria attraverso quelle che gli anglofoni chiamano “silent bans”, ovvero squalifiche silenziose.
Era stata una delle prime cose che avevo commentato con altri colleghi quando mi era stato chiesto quanto pensavo sarebbe stato dato alla russa per questo caso di doping: è stato il momento peggiore per la Sharapova per farsi pizzicare, perché il comitato olimpico russo è sotto inchiesta su ogni fronte dopo i problemi con l’atletica e nel frattempo sono usciti anche gli scandali Chicherova e Sochi 2014, ma non solo. Da anni infatti si recrimina al tennis che ad essere pescati fossero solo i pesci piccoli e che le pene nei casi più importanti fossero state per lo più ridicole (per chi non ricordasse il caso di Richard Gasquet ne è un esempio), per cui a più di qualcuno deve esser sembrata un’ottima occasione per trasformare quella che potenzialmente poteva essere una bomba di distruzione della popolarità del tennis, specialmente al femminile, in un messaggio di forza ed integrità dell’ITF.
Anche il tempismo della sentenza è caduto in un momento perfetto: la settimana dopo uno slam, un Roland Garros dove si è visto una nuova campionessa sorgere e un campione chiudere il conto con l’ultimo titolo che gli mancava. La sentenza della Sharapova arriva così in una settimana dove nessuno è distratto da altri eventi, se non da tornei di preparazione e dal relativo interesse mediatico (non me ne vogliano Roger Federer e il suo ritorno dopo i problemi di schiena o Belinda Bencic, Caroline Wozniacki etc.), ma presto arriverà Wimbledon e il caso andrà archiviato, se non altro fino all’appello. Anche in questo avrebbe senso la richiesta di quattro anni di sospensione: mostrare il pugno duro, ben consci che non si sarebbe arrivato a tanto, giusto per far capire che loro non si nascondono, nemmeno se il nome è uno di quelli grossi.
Difficilmente si può vedere una coscienza pulita in quanto dichiarato dalla Sharapova e per questo non posso che essere d’accordo con la pena inflitta e tutto quanto fatto dall’ITF per spiegare la loro posizione e anche la squalifica, ora però sarebbe il caso che lo stesso trattamento venga riservato a tutti gli altri. Di recente si è parlato di una voglia di creare più trasparenza sui casi di doping e anche quelli di sospensione, la speranza è quella che la russa non diventi un capro espiatorio e da domani tutto torni come prima, ma che possa rappresentare un vero e proprio punto di svolta.