A due giorni dal trionfo di Kitzbuhel, abbiamo parlato con Claudio Galoppini, coach di Paolo Lorenzi dal 2008. In esclusiva per Sportface.it, Galoppini ci racconta della sua collaborazione col tennista azzurro, dei segreti della sua crescita in età matura e delle prospettive future, con la stessa umiltà e determinazione che traspare dalle partite del suo giocatore.
Partiamo da Kitzbuhel. Primo titolo Atp in carriera e best ranking al numero 41 del mondo. È sorpreso, anche considerando il momento della carriera di Paolo? E legandoci anche alla vittoria di Fognini ad Umago, è solamente un caso che questi due successi arrivino dopo il week-end di Coppa Davis?
“Con Paolo abbiamo iniziato a collaborare nel 2008. Se allora mi avessero parlato di risultati del genere sinceramente avrei fatto fatica a crederci. Però l’andamento degli ultimi anni, il fatto che è migliorato costantemente e che già due anni fa è andato vicino al primo titolo Atp (finale persa a San Paolo con Delbonis), mi hanno sempre fatto credere in questa possibilità. Non è stato facile e non sarà facile ripetersi, ma l’importante è essere sempre competitivi e poi sfruttare le occasioni quando si presentano. Per quanto riguarda anche la vittoria di Fognini, sicuramente essere convocati in Coppa Davis significa allenarsi per una settimana con i migliori giocatori italiani. È una cosa stimolante, che fa crescere, ma non basta solo quello. Deve coincidere con dei periodi di forma del giocatore, in una settimana non si possono fare miracoli”.
Paolo compie 30 anni nel dicembre del 2011. Chiude quella stagione da numero 108 del mondo, e fino a quel momento non era mai andato oltre la top 80. Per tanti giocatori quello è il momento in cui comincia la discesa, mentre per Lorenzi ha inizio una costante ascesa nel ranking. Come si può migliorare oltre i 30 anni?
“Sicuramente molto parte dalla testa. Ci vuole certamente un’ottima base fisica, stare molto attenti alla prevenzione e all’integrità del proprio corpo, ma poi ciò che conta sono l’entusiasmo e la voglia di fare. Quando ho iniziato con Paolo lui aveva già 27 anni, ma ho sempre avuto l’impressione di lavorare con un atleta giovane, sempre pronto a migliorarsi. Altri giocatori che arrivano presto nel tennis che conta possono perdere quest’abnegazione durante la strada. Invece lui ha sempre dimostrato capacità di sacrificio e ha sempre creduto nei propri mezzi. Insieme abbiamo cercato di mettere anno dopo anno qualcosina in più nel suo gioco, per cercare di alzare sempre l’asticella”.
Tornando a Kitzbuhel, hanno impressionato soprattutto due aspetti di Paolo: la condizione fisica e la brillante lucidità tattica. Partendo dal primo, in che modo è migliorato Lorenzi dal punto di vista fisico negli ultimi anni? Su cosa ha lavorato nello specifico?
“Sotto questo aspetto un grosso ringraziamento va a Stefano Giovannini, il preparatore atletico che lavora con me e con Lorenzi. Nei primi anni Paolo ha fatto un grosso lavoro sulla forza, adesso cerchiamo di seguire di più anche le sue indicazioni, per prevenire eventuali infortuni e anche perché i tempi di allenamento si riducono sempre di più. Bisogna essere bravi a mettere in poco tempo più benzina possibile sulle gambe. Diamo sempre più attenzione al momento specifico attraversato da Paolo”.
Dicevamo poi dell’intelligenza tattica. Ci son stati anche dei momenti difficili durante i match della scorsa settimana, soprattutto nei quarti contro Struff e in semifinale contro Melzer. Paolo è però sempre apparso lucidissimo nelle scelte tattiche. Quanto questo è un talento naturale, e quanto invece è un aspetto che si può allenare giorno dopo giorno sul campo?
“Paolo è sicuramente un giocatore intelligente, uno di quelli che riescono a pensare in campo. Oltre a basarsi sulle proprie forze, deve sempre adattarsi anche all’avversario. Lui è molto bravo in questo, e negli anni è senza dubbio diventato un giocatore a tutto campo. Sa qual è il momento di contenere l’avversario e quale quello per cercare di piazzare delle accelerazioni e venirsi a prendere il punto a rete. È diventato sempre più completo, e questo gli permette di avere più armi e poter essere competitivo con avversari anche di livello maggiore e dalle caratteristiche diverse”.
Voi non siete sempre insieme durante i tornei (a Kitzbuhel Galoppini è arrivato per la finale). Come riuscite allora a preparare le singole partite?
“Innanzitutto ci sentiamo quotidianamente. Poi attraverso la visione di video studiamo sempre insieme gli avversari prima di affrontarli, e ci confrontiamo prima di ogni partita. A Kitzbuhel c’era sempre sugli spalti un caro amico di Paolo, che è anche maestro di tennis. Io ho cercato di dare qualche informazione durante le pause per indirizzare qualche consiglio. Certamente questo lo posso fare con un giocatore maturo, in grado di cavarsela benissimo anche da solo. Quando non posso seguirlo cerco in qualche modo di aiutarlo anche da lontano. Ripeto, tutto ciò è possibile grazie al fatto che lui è un giocatore molto intelligente, che già sa bene quello che deve fare prima di entrare in campo”.
Questa settimana Paolo è testa di serie numero 1 al Challenger di Biella (esordirà domani contro Filippo Volandri). Dopo di che ci saranno le Olimpiadi, che si può dire rappresentino un premio alla carriera (saranno infatti le prime per Lorenzi). Arrivano nel miglior momento possibile?
“La scelta di giocare il Challenger di Biella è maturata già qualche settimana fa. È un torneo importante, essendo un 125mila dollari, ci sono giocatori molto forti (numero 2 del seeding è Thomaz Bellucci, ci sono anche Lajovic, Berlocq e lo slovacco Andrej Martin, finalista a Umago contro Fognini). Le Olimpiadi sono una manifestazione a sé. Paolo non le ha mai giocate e ovviamente ha accettato di buon grado di partecipare. Penso che sia un’esperienza che non deve mancare nella carriera di uno sportivo, se si ha l’opportunità di viverla. Andrà col maggior entusiasmo possibile per cercare di dare il meglio”.
Come pensate di programmare il calendario post-Olimpiadi? Quanto spazio per i Challenger e quanto per i tornei Atp? E che obiettivi vi ponete adesso per il futuro?
“Dopo le Olimpiadi Paolo giocherà sicuramente Winston Salem e Us Open. Poi se riesce a mantenere questo ranking, entrando di diritto nei main draw dei Masters 1000, dovrà andare a giocare in Asia. La sua programmazione è sempre dettata dall’esigenza di mantenere un buon ranking, per cercare di non allontanarsi dai primi 50/60 giocatori del mondo, non dimenticando di essere stati anche più indietro in classifica. Lui è bravo a bilanciare le cose per cercare di raggiungere gli obiettivi che ci prefiggiamo. Per quel che riguarda gli obiettivi futuri, io credo che quando si arriva a questi livelli sia indispensabile mantenere sempre l’asticella alta, anche solo per mantenere gli obiettivi raggiunti. Bisogna guardare avanti con umiltà ma nello stesso tempo cercare di essere ambiziosi, soprattutto nella ricerca di continui miglioramenti. Poi i risultati dipendono anche da altri fattori, infortuni, fortuna nei tabelloni, fortuna durante le partite. Però è sempre fondamentale guardare avanti con voglia di migliorarsi, anche solo per conservare quanto si è conquistato”.
Ultima domanda: oltre a essere il coach del numero 41 del mondo, chi è Claudio Galoppini?
“Ho lavorato 9 anni in Federazione. Ho avuto la fortuna e il piacere di allenare Flavia Pennetta, Roberta Vinci, Antonella Serra Zanetti, giocatrici che già a livello giovanile hanno avuto grandi successi e poi hanno continuato a giocare ad alti livelli. Attualmente seguo Paolo ma anche altri ragazzi che cercano di farsi largo nei tornei Futures: mio nipote Davide, Capecchi, Maccari… In più abbiamo dietro qualche giovane interessante che speriamo possa affacciarsi presto nel circuito internazionale”.