L’età media delle due finali dell’edizione 2017 degli Australian Open, la centocinquesima sia per il maschile che per il femminile, sarà di 34,47 anni, la più alta della storia. Non era mai accaduto precedentemente nell’Era Open, e quindi relativamente agli ultimi cinquant’anni, che i quattro finalisti fossero tutti degli over 30: solamente in un’occasione, Wimbledon 2008, i quattro colossi del tennis di inizio millennio, Roger Federer, Rafael Nadal, Serena e Venus Williams, sono giunti contemporaneamente a contendersi l’atto conclusivo di un torneo del Grande Slam. Rieccoli, otto anni e mezzo dopo, a rivestire nello stesso momento i panni dei protagonisti di fronte al pubblico di un Major.
“Passano gli anni, ma otto son lunghi”, canterebbe qualcuno: evidentemente non troppi per questi signori, capaci in quattro di conquistare in carriera la bellezza di sessanta titoli dello Slam su un totale di ottantanove finali, di cui “solo” dieci dopo aver compiuto il trentesimo anno di età (nove da Serena Williams, una da Roger Federer). Occorre tornare indietro di ben trentadue anni, fino al 1985, per rivedere un teenager trionfare a Melbourne Park, quando l’appena diciannovenne svedese Stefan Edberg regolò in tre set il connazionale Mats Wilander. L’età media dei campioni delle ultime dieci edizioni si aggira intorno ai venticinque anni, il numero tende ad aumentare se parliamo di tennis femminile. Perché? Il famoso ricambio generazionale, qualche anno fa realizzato da Novak Djokovic ed Andy Murray, che hanno lentamente rimpiazzato in vetta al ranking mondiale proprio Federer e Nadal, sembra oggi più una chimera che un fatto spontaneo e naturale: il serbo e lo scozzese, ormai prossimi agli “-enta” e vincitori in due di sette delle ultime dieci prove dello Slam, hanno praticamente dominato la scena nell’ultimo lustro, lasciando pochissimo, anzi nessuno spazio alle nuove leve. Ne sanno qualcosa i vari Kei Nishikori, Milos Raonic, David Goffin e, naturalmente, anche Grigor Dimitrov, che però in questo Open di inizio anno, al di là della meritatissima semifinale raggiunta, e quasi conquistata, ha finalmente dimostrato di poter competere ad armi pari coi grandissimi di questo sport.
Il divario coi Fab Four, oltre che, naturalmente, tecnico, è di natura mentale: lo evidenzia in primo luogo il bilancio dei confronti diretti tra i giocatori citati e i quattro mostri sacri (per fare un esempio, nei precedenti contro i Fab Four, Raonic e Nishikori hanno, curiosamente entrambi, ottenuto solo otto successi a fronte di trentadue sconfitte a testa (20% di vittorie); peggio ancora ha fatto il belga Goffin, che non ha mai battuto un Fab Four in carriera, perdendo per ben quindici volte). Sono dati che mostrano palesemente la differenza di approccio ai match che contano tra i campionissimi e i migliori giocatori nati a ridosso del 1990. Più confortante la statistica relativa all’austriaco Dominic Thiem: il nativo di Wiener Neustadt, classe ’93, pur avendo perso sempre nelle sei sfide contro Djokovic e Murray, conduce per 2-1 su Federer e ha avuto ragione di Nadal in uno dei tre head to head col maiorchino.
Ma c’è di più: il tennis di oggi non è quello di quindici o venti anni fa, dalle rivalità tra talenti siamo passati alle rivalità tra imponenti colossi; dalla maggiore cura dell’aspetto tecnico si è gradualmente passati ad una preparazione fisica maniacale. Vi ricordate degli spartani allenamenti nel bosco di Thiem col sergente Gunter Bresnik? Ecco, gli altri magari non si spingono a tanto, ma la morale della favola in pratica è questa. Cosa comporta ciò? Se da una parte le carriere dei top player si allungano, e i migliori rimangono competitivi anche dopo i trent’anni, dall’altra diminuiscono le possibilità dei più giovani di emergere e fare exploit: per intenderci, difficilmente un diciassettenne, qual era Boris Becker vincitore a Wimbledon nel 1985, di fronte a tanta concorrenza, sarebbe in grado di rendersi protagonista. O, cosa ancora più improbabile, forse impensabile al giorno d’oggi, di aggiudicarsi uno Slam alla prima partecipazione, com’era accaduto a un diciannovenne Rafael Nadal al Roland Garros 2005. Ecco perché, ad esempio, un talento come il bulgaro Dimitrov, da tanti addetti ai lavori considerato come uno dei possibili pretendenti al trono mondiale, al di là degli apparenti limiti caratteriali manifestati in passato, conquista la sua prima semifinale Slam a quasi ventisei anni, quando alcuni suoi predecessori a quell’età avevano già ottenuto risultati di ben altro tenore (vedi Djokovic – cinque titoli Slam su sette finali a 25 anni – o Murray – un titolo slam su cinque finali alla stessa età).
Infine, i ragazzi della “Next Generation”: su tutti spiccano Alexander Zverev, il predestinato tedesco classe ’97, e l’australiano Nick Kyrgios, classe ’95. Il teutonico, vent’anni da compiere il prossimo 20 aprile, occupa attualmente la ventiquattresima piazza delle classifiche mondiali, ma può vantare un best ranking da numero 20, risalente allo scorso ottobre. Sembra essere lui il prototipo di tennista vincente; le armi ci sono tutte (gran servizio, solidità da fondo campo, discreta difesa), niente male anche le premesse: chiedere a Nadal, che ha dovuto sudare sette camicie per batterlo sia a Indian Wells lo scorso marzo che a Melbourne proprio qualche giorno fa, o a Federer, battuto in tre set nel suo giardino di Halle pochi mesi fa. Manca però qualcosa: non è mai andato oltre il terzo turno in un torneo dello Slam, ma ci auguriamo che il 2017 possa essere la stagione giusta per infrangere questo piccolo e ancor giovane tabù. Discorso a parte per Kyrgios, celebre finora più per i suoi siparietti durante gli incontri che per i risultati ottenuti sul campo: il ventunenne di Canberra, già numero 13 un paio di mesi fa, ha l’esplosività e i colpi per dare fastidio a chiunque, ma c’è da vincere un temibile nemico, la sua indisponenza. I quarti conquistati a Church Road nel 2014 e a Melbourne nel 2015 fanno ben sperare, ma l’atteggiamento tenuto negli ultimi tempi non è dei più rassicuranti: eliminato in rimonta al secondo round dal nostro Andreas Seppi in questi Australian Open, ha deluso le aspettative della vigilia e di una Rod Laver Arena che lo ha sostenuto incessantemente per oltre tre ore di gioco.
Nel frattempo, non ci resta che goderci lo spettacolo: Roger Federer e Rafael Nadal si affronteranno per la trentacinquesima volta in assoluto (23-11 a favore dell’iberico i precedenti), mentre tra le sorelle Williams si tratterà del confronto numero 28 (il nono nella finale di un Major), con Serena che conduce 16-11 su Venus. Otto anni e mezzo dopo, cambiano la spiaggia e il mare, non i protagonisti. Sempre loro.