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Chi l’avrebbe mai detto? Annulla tre match point nei play-off asiatici per gli Australian Open lo scorso dicembre, contro un certo Prajnesh Gunneswaran, indiano classe ’89 e attuale numero 319 del mondo; dopo poco più di un mese batte Novak Djokovic, sei volte campione in carriera qui a Melbourne Park, proprio nel giardino di casa sua, superandolo caratterialmente in cinque parziali dopo quasi cinque ore di gioco. E’ proprio strano questo sport.
La storia di Denis Istomin è paradossale, è una di quelle favole sportive che i maestri di tennis dovrebbero diffondere nelle scuole e nei circoli: a partire dal suo difficile esordio, contrassegnato da un incidente stradale che a soli quindici anni lo tiene fermo tre mesi; da quel momento in poi un’ardua scalata, che lo porterà, nell’agosto del 2012, fino alla posizione mondiale numero 33.
“Deni” nasce a Orenburgo, in Russia, il 7 settembre 1986. Inizia a impugnare la racchetta all’età di cinque anni, incoraggiato dalla madre Klaudiya, maestra di tennis e personaggio fondamentale nella crescita sportiva del protagonista del nostro racconto. Nel 2001, all’età di 15 anni, è finalmente pronto a scalare la classifica ATP. Deve giocare un torneo Future a Tashkent, capitale dell’Uzbekistan, ma un devastante incidente stradale gli spezza i sogni: viene ricoverato tre mesi in ospedale, con una lesione alla gamba che richiede ottanta punti di sutura. A quel punto a Denis si presenta un bivio: continuare a giocare a tennis o smettere definitivamente? In questo sarà decisiva proprio la già citata madre Klaudiya, che diventerà suo coach: “Devo ringraziare mia madre che ha creduto che io potessi giocare a tennis ancora una volta ed ecco perché sono ritornato a giocare”.
Il recupero, in casi come questo, insegna che la pazienza non è mai troppa, che ogni sacrificio è una conquista, che ogni sorriso può aiutarti, che ogni abbraccio è una ricarica e che ti devi circondare solo di persone positive. Allora pronti per una corsa verso una smorzata, una rincorsa verso un pallonetto, una volèe, uno smash, un servizio, una partita. Tutti possono sognare, tutti hanno questo diritto, il sacrosanto dovere di provarci fino allo spasimo, lottare con tutte le proprie forze finché le gambe e le braccia non fanno male.
Denis, dopo aver giocato due tornei Future, perdendo nei primi turni verso la fine del 2001, si rende conto che deve lavorare tanto per migliorare il suo gioco. I due anni successivi sono di duro lavoro e sedute di allenamento estenuanti ma lui non molla mai. Nel 2004, sempre seguito dalla madre-coach, partecipa a dodici tornei Future senza ottenere risultati. L’obiettivo è quello di tornare in forma e sentirsi bene in campo, migliorare, fare esperienza nel circuito professionistico, imparare a soffrire. L’anno successivo Denis vince finalmente tre tornei Future e un Challenger, riuscendo così a scalare le classifiche e portandosi a fine anno alla 196esima posizione ATP. Nel 2006 gioca una buona stagione, confermandosi ai livelli dell’annata precedente e chiudendo alla 200esima posizione: Denis inizia a giocare bene costantemente e i suoi colpi son migliorati.
Ci si aspetta a questo punto il grande salto di qualità, il salto che gli permetta di entrare nei primi 100 ATP. L’anno in cui ciò avviene è il 2009: Istomin ha 23 anni e sta giocando buoni primi turni; riesce a insidiarsi nei primi 100, raggiungendo a luglio la 57esima posizione ma chiudendo l’anno alla piazza numero 102. Nel 2010 la sua classifica migliora ancora: mentre sta giocando il suo miglior tennis, raggiunge infatti il terzo turno agli AO (fermato, diversamente da oggi, da Djokovic), la semifinale a San Jose, la semifinale sull’erba di Eastburne, il terzo turno a Wimbledon dando battaglia a Berdych conclusasi 6-4 al quinto e la finale nel 250 di New Heaven. Questi brillanti e sudati risultati gli permettono di raggiungere la 33esima posizione ATP. Dal 2011 staziona intorno alla 70esima posizione, ma oggi ha vinto contro il numero 2 e lui ci crede ancora perché l’imperativo è crederci sempre e lottare contro qualsiasi avversità, perché non può piovere per sempre.