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La finale del 250 di Doha potremmo riassumerla cosi: Novak Djokovic torna a vincere una finale e a convincere, conquistando nuovamente un titolo Atp dopo un digiuno durato quasi sei mesi. Gli ci sono volute quasi tre ore per avere la meglio (per la 25° volta in carriera) su Andy Murray; alla fine ha chiuso col punteggio di 6-3 5-7 6-4.
Nel primo torneo Atp dell’anno, il mondo del tennis ha ottenuto esattamente quello che si aspettava (e sperava) una volta conosciuto il tabellone e i giocatori che avrebbero preso parte all’evento qatariota: una finale tra Andy Murray – da alcune settimane nuovo numero uno della classifica mondiale – e Novak Djokovic, attuale numero 2. Nulla di sorprendente, per carità : nei loro ultimi sette scontri i due si erano affrontati solo in finale. Dunque comincia un nuovo anno, eppure ripartiamo da dove ci eravamo fermati, da dove li avevamo lasciati a fine 2016: 02 Arena di Londra, Master Atp di fine anno, loro due là , l’uno contro l’altro – l’uno a fianco all’altro – dapprima a contendersi, poi a prendersi e dividersi lo scettro di migliori del mondo. Questa stagione ci regala solo un nuovo – l’ennesimo – capitolo di questa loro particolare amicizia/rivalità che tanto ci entusiasma e appassiona da quando, nel 2006, si scontrarono per la prima volta.
Il match odierno non ha di certo tradito le aspettative, anche dal punto di vista del gioco. Nel primo set le difficoltà del serbo si palesano ed esauriscono solo nell’arco dei suoi due primi turni di servizio: è nel terzo game che concede ed annulla a Murray l’unica palla break del parziale; da lì in poi il suo rendimento alla battuta sarà impressionante, con ben 15 punti di fila (senza concederne alcuno all’avversario). Un Nole cinico e concreto, capace sia di negare qualsiasi spunto ed occasione allo scozzese, sul proprio servizio, sia di ottenere il break alla prima occasione utile, arrivata nel corso dell’ottavo game – in seguito a un paio di errori non forzati di Andy (ad esempio un rovescio in diagonale buttato via sul 40-15 in suo favore). Lo splendido dritto in corsa col quale ha chiuso con lo score di 6-3 il primo parziale è l’istantanea che fotografa al meglio quanto avevamo visto fino ad allora.
Il secondo set si è aperto e portato avanti sulla falsa riga del primo: palla break (agguantata da Murray al termine di uno scambio splendido) annullata da Nole nel sesto gioco, a sua volta due palle break guadagnate in quello successivo e servizio strappato alla seconda occasione utile. Ma è nel game decisivo, quando Djokovic si è ritrovato a servire per il match sul 5-4 in suo favore, che l’inerzia della partita è cambiata improvvisamente. Murray è riuscito – mostrandoci ancora una volta, come se fosse necessario, quella forza e quella tenacia che lo contraddistinguono e l’hanno portato in vetta al ranking mondiale – ad annullare ben 3 match point e a contro-breakkare l’avversario: 5 pari e tutto rimesso in discussione, nuovamente. Un game che potrebbe essere definito come l’emblema della loro già citata amicizia/rivalità : punti pazzeschi, uno spettacolo di recuperi clamorosi, palle corte, corsa e pubblico in delirio. Il Murray che viene fuori da quest’ultimo gioco è rinfrancato, rigenerato psicologicamente: approfittando anche del nervosismo e dei primi accenni di stanchezza del serbo, porta a casa – ottenendo un secondo break e vincendo quindi 4 games di fila – il secondo set: 7-5, si va al terzo.
Nel terzo, come di fronte al migliore dei déjà -vu, il copione sembra ritersi: il primo ad arrivare a palla break (manco a farlo apposta, nel sesto gioco) è sempre Murray: Nole annulla magistralmente. Nel settimo gioco è lui ad avere la chance di strappare la battuta al numero uno del mondo, ed è lui a riuscirci, addirittura a zero. Ma è qui che il déjà -vu si interrompe, che la musica cambia: stavolta il miracolo non si ripete: lo scozzese non riesce ad agguantare eroicamente nessun altro contro-break, non vi è nessun match-point annullato con la forza della disperazione: al primo tentativo utile del parziale (il quarto nella finale), sul 5-4 40-30, Djokovic chiude e fa suo (per la seconda volta in carriera) il titolo di Doha.
Vincendo la finale odierna Djokovic non solo vince il primo titolo nell’arco degli ultimi sei mesi ed aggiunge alla sua incredibile bacheca il 67° titolo della carriera, non solo vince l’11° finale sulle 19 giocate contro Murray, no; quel che è importante, di questa vittoria, è l’aver guadagnato fiducia e slancio necessari in vista del primo Slam stagionale. Questi piccoli tornei, disputati solitamente per prepararsi agli eventi più importanti, possono significare molto più di quanto si pensi: nel caso del serbo, vincere quest’oggi contro il suo più grande rivale, è un modo per arrivare a Melbourne (dove andrà a caccia della sua sesta affermazione in terra australiana) con speranze tanto rinnovate da essersi trasformate in concrete convinzioni.
Per Murray non è ancora il momento di preoccuparsi seriamente: il livello di gioco mostrato quest’oggi (salvo alcuni momenti conditi da qualche fallo di troppo e confusione) è più che buono (e le sue statistiche al termine del match lo testimoniano). Quel che pare certo è che la saga Murray-Djokovic continuerà ancora, anche in questo 2017, probabilmente già a partire dai prossimi Australian Open: non resta che aspettare, entusiasmarci e godercela più che possiamo.