E’ il 5 giugno 2016. Djokovic ha appena sconfitto Murray nella finale del Roland Garros, unico slam che mancava in casa serba. Dopo aver stretto la mano all’avversario, Djoko chiede a Gustavo Kuerten il permesso di disegnare un cuore sulla terra parigina e sdraiarcisi sopra. Il tennista brasiliano detiene i diritti d’autore del rituale: lo fece per la prima volta per festeggiare la conquista degli Open di Francia in finale Sergi Bruguera e senza esitazione acconsente. Djokovic padroneggia così la classifica con 16950 punti, davanti agli 8915 di Murray e i 6655 di Federer. Nella prima parte della stagione 2016, ha trionfato a Doha, Australian Open, Indian Wells, Miami e Madrid e gli scommettitori cancellano le sue quote per eccesso di ribasso. Boris Becker, allenatore del numero uno, ne ammira la risposta, la rapidità e fluidità degli spostamenti, il rovescio che sa trasformare la difesa in attacco e la solidità mentale con cui gioca i punti importanti.
Da quel periodo di dominio però, qualcosa si guasta. Djokovic va a Wimbledon da detentore del titolo e perde al terzo turno da Sam Querrey, una sconfitta che testimonia il disagio di Nole contro i donatori di ace e servizi vincenti. Tutto tranquillo per gli affezionati, consapevoli che l’onnipotenza non appartenga a nessun tennista. Intanto Murray, che ha battuto Djokovic a Roma, vince anche sull’erba inglese dei lord e l’11 luglio occupa il vertice del ranking. Il nuovo numero due risponde con il titolo del Master 1000 di Toronto e azzarda il contro sorpasso all’Atp World Tour Finals, ma lo scozzese (vincitore al Queen’s, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Rio, titolo al China Open, Shanghai Masters, Vienna e Parigi Bercy) lo allontana con un 6-3, 6-4. Mentre Federer passa più tempo a riabilitare il suo gioco che a offrirlo alla gente e Nadal accorcia troppo i colpi e chiede al suo fisico di essere quello di dieci anni fa, il duello Novak-Andy intrattiene gli appassionati.
Inizia la stagione 2017 e Djokovic barcolla, respira con affanno e neanche con la vittoria a Doha riesce a risalire. Il tennis può di nuovo brillare con le delizie di rovescio di Roger Federer, che incanta e conquista gli Australian Open, battendo in cinque set il rivalissimo Nadal, Indian Wells e Miami, prima di lasciare le terre rosse d’Europa. Anche Rafa sta meglio e gioisce a Montecarlo, Barcellona e Madrid. Sasha Zverev, cresciuto in una famiglia che per il tennis ha lasciato l’Unione Sovietica, si fa amare per il rovescio bimane e la lucidità in campo. Qualcosa si è rotto nel meccanismo da Terminator di Djoko. Boris Becker lo ha lasciato e in un’intervista a Sky Sports lo ha accusato di pensare sempre meno al tennis: “Come giocatore, serve essere molto egoisti, 24 ore su 24. E’ più facile quando hai vent’anni, ma a 28-29 inizi ad avere un figlio, una moglie, una famiglia a cui pensare e qualcosa rischia di passare in secondo piano“.
Nelle conferenze stampa, Djokovic è davvero turbato e dice di non avere la racchetta come pensiero fisso. Il suo corpo, modellato dalla dieta celiaca del nutrizionista Cetajev, appare sempre più scavato. Il tennista non recupera più come i bei tempi e spesso è piegato sulle ginocchia. Nei primi sei mesi dell’anno, cade al secondo turno degli Australian Open per mano di Istomin, ai quarti di Acapulco e al quarto round di Indian Wells per la sregolatezza di Kyrgios. Sul rosso di Montecarlo, la snella corporatura di Goffin lo mette in riga in tre set e ai quarti di finale, mentre nella semifinale di Madrid Nadal lo malmena da fondocampo. A Roma, fuori Murray e lo stesso maiorchino, Djokovic è finale contro Zverev. La città eterna però, si trasforma in dannazione e il tedesco, reggendo gli scambi sul rovescio, bacia la coppa.
Arriva nella conferenza stampa post-partita la decisione di affidarsi alla guida tecnica di Andrè Agassi, otto volte vincitore Slam. La notizia colpisce, perché il Kid di Las Vegas è ancora amato dal pubblico. Negli anni novanta ha trasgredito le buone maniere con i capelli lunghi e l’orecchino, prima di passare alla bandana. Era l’antitesi della compostezza, del capello pettinato e del servizio-diritto-volee di Pistol Pete Sampras, con quella risposta rapida e quei colpi di controbalzo. E ora, dopo aver ammesso nell’autobiografia Open di odiare il tennis e di non riuscire comunque a fermarsi, diventa il coach di uno sportivo in crisi di risultati e empatia. Djokovic ci ha provato a convincere il pubblico, con le imitazioni e le ospitate dallo showman Fiorello. Anche quando vinceva quaranta partite di fila e si inchinava per ringraziare, il battito degli spettatori eri per altri. Sensazioni, ricordi, stile di gioco che piegava l’estetica alla forza. Djokovic ha pagato tutto questo e con Agassi ricomincia l’operazione rimonta, nelle classifiche dell’Atp e nella simpatia.