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Steffi Graf, Monica Seles, Arantxa Sanchez-Vicario, Gabriela Sabatini e Jennifer Capriati: alla fine degli anni Novanta, l’universo del tennis femminile era pieno zeppo di campionesse. Fra colpi fulminati e carezze erano loro a darsi battaglia nei Major, lustrando gli occhi degli appassionati di tutto il mondo. L’ultima cosa di cui il circuito aveva bisogno era l’ascesa sul pianeta Terra di un nuovo, piccolissimo fenomeno
Questo, però, è esattamente ciò che ha fatto Martina Hingis: la ceca (naturalizzata svizzera) si è presentata alla festa senza invito, divenendone presto l’ospite d’onore. Roba da predestinati.
Martina nasce a Kosice, ex Cecoslovacchia, il 30 settembre del 1980. Mamma Melanie, discreta ex giocatrice professionista, decide subito di farne una campionessa: a due anni scarsi ecco la prima racchetta, a quattro il primo torneo. Nel 1986 si trasferisce insieme alla madre e al suo nuovo compagno in un paesino elvetico del Cantone San Gallo. In questo luogo incantato, l’aria pura e grandi spazi verdi fanno sbocciare in lei l’amore per l’equitazione. Cavalcherà per due o tre anni i suoi adorati Montana e Shubidu, prima di dedicare corpo e anima unicamente al tennis.
Martina è già pronta, prontissima. Nel 1992 diviene la più giovane vincitrice di un torneo del Grand Slam juniores, il Roland Garros, successo che riconfermerà due anni più tardi.
L’esordio nel circuito professionistico avviene a 14 anni appena compiuti, età minima consentita.
Gioca a Zurigo il suo primo torneo (1994). Qui elimina al primo turno la statunitense Patty Fendick, 29 anni, per poi arrendersi al secondo turno alla numero 5 al mondo, Mary Pierce. In quel torneo è presente anche un’altra “Martina”, la Navratilova (per una delle sue ultime apparizioni). Anche il nome nel destino.
Agli Open di Australia del 1995 avanza al secondo turno. Altro record. Qualche mese dopo, sulla terra rossa di Amburgo, approda per la prima volta in finale, dove esce sconfitta per mano della spagnola Conchita Martinez.
Nel 1996 stabilisce un nuovo primato di età: a 15 anni si aggiudica il titolo di doppio a Wimbledon, in coppia con la ceca Helena Sukova: a soli 16 anni Martina Hingis è già tra le prime dieci giocatrici al mondo. A fine anno disputa il suo primo Master, al Madison Square Garden di New York. La finale con la Graf è memorabile. Nonostante la sconfitta Martina mostra agli occhi di tutto il mondo il suo gioco lineare, pulito, geometrico, efficace. È fantastica.
L’anno successivo, il 1997, è quello della consacrazione. La svizzera si aggiudica gli Open di Australia, gli US Open e il 5 luglio del 1997 scrive quella che forse è la pagina più bella della sua meravigliosa storia: battendo in finale Jana Novotna, Martina Hingis diventa la più giovane campionessa di Wimbledon dell’era Open. Il Grande Slam le sfugge per mano della carneade Iva Majoli, che in un pomeriggio di maggio spegne le sue perfette traiettorie infliggendole una delle più dolorose sconfitte della sua carriera.
All’inizio del 1998 è lei la regina assoluta del circuito. Dietro Martina, numero uno al mondo, il vuoto. L’anno inizia con la vittoria del secondo Australian Open, cui seguono le semifinali di Parigi e Londra e la finale di Flushing Meadows (sconfitta da Lindsay Davenport). È dal doppio, però, che arrivano risultati stratosferici: la Hingis vince tutti e quattro i major, in Australia in coppia con la Lucic-Baroni e con la Novotna il resto dell’anno.
Giusto il tempo di regalarsi il suo ultimo torneo dello Slam (ancora sul cemento verde di Melbourne), ed eccole, per la prima volta, affacciarsi prepotentemente tutte le paure e le insicurezze di una ragazzina della sua età, campionessa affermata con milioni di occhi addosso e una pressione sempre più forte da dover gestire. La scenata in finale a Parigi (dannata Parigi…) contro Steffi Graf e la sconfitta agli US Open per mano di Serena Williams (il nuovo che avanza…) sono il segno che la fiamma si sta spegnendo. A 19 anni. Le gambe tremano, i nervi saltano ed il gioco, inevitabilmente, si inceppa. Martina non è più lei.
L’anno seguente, nel 2000, non arriva alcuno Slam e l’ex bambina prodigio inizia a faticare anche in quei tornei dove fino ad allora aveva fatto il bello ed il cattivo tempo. Dopo altre due finali perse (entrambi a Melbourne, 2001 e 2002), complici anche numerosi infortuni alle caviglie, a febbraio del 2003 arriva la notizia del suo ritiro.
Gli infortuni, però, celano ben altro. Dietro la triste decisone di Martina, tuona la forte convinzione di non essere più all’altezza della sua fama. Solo ora si riesce a cogliere cosa ci fosse sotto la corazza di una campionessa tanto straordinaria quanto precoce. Il suo carattere, la sua voglia di essere oltremodo competitiva hanno iniziato a pesare come macigni, schiacciandola al punto di renderla impotente di fronte ad una emotività ancora adolescenziale.
Nonostante tutto, il suo nome continua a circolare. A gran sorpresa, una fugace apparizione a Pattaya (2005), per una esibizione, poi, a novembre, il suo rientro shock nel circuito. A gennaio del 2006 la Hingis raggiunge i quarti in Australia (dove vince in doppio misto, in coppia con l’indiano Bhuphati) e a maggio si aggiudica gli Internazionali di Roma (sconfiggendo la russa Dinara Safina).
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Ma a Wimbledon, nel 2007, viene trovata positiva alla cocaina. Proprio su quello splendido manto verde che le aveva donato la gloria, nonché uno dei più bei sorrisi che si siano mai visti su un campo da tennis, si consuma l’ennesimo dramma della sua carriera. Il più grande questa volta.
Martina sceglie il silenzio, che interrompe solo con un comunicato stampa. Ritiro. Ancora.
Ma alla fine, a questa fine, nessuno vuole crederci davvero.
Nel 2013, a luglio, ancora un coup de théâtre. Appena introdotta nel tempio del tennis, l’International Hall Of Fame, la Hingis annuncia ancora una volta il suo ritorno alle competizioni, anche se solamente in doppio. Prima con la slovacca Daniela Hantuchova, poi con Sabine Lisicki e Flavia Pennetta (con cui, nel 2014, vince i tornei di Wuhan e di Mosca).
Il resto è storia. Una stupenda storia, piena di vittorie e soddisfazioni. È lei! Sì, è ancora lei! Intelligente, precisa, tatticamente impeccabile. Guardandola giocare è impossibile credere che se ne sia mai andata. Soluzioni inaspettate, angoli stretti, smorzate, volée, nello straordinario anacronismo di chi ha fatto del tennis un’opera d’arte.
Ci manchi Martina, buon compleanno!
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