Positività al Covid-19, vesciche, problemi all’anca ed al ginocchio, distorsione alla caviglia e malesseri vari. Il 2022 ha messo in luce una verità incontestabile: Jannik Sinner ha già una testa da veterano, al momento non supportata dal fisico, ancora in costruzione, di un ragazzo di vent’anni. La stagione appena conclusa, infatti, ha rappresentato quasi un incubo in tal senso per l’altoatesino ed i suoi tifosi, costretti il più delle volte ad assistere impotenti al ritiro del loro idolo, anche quando la situazione di tabellone autorizzava a pensare in grande.
Le innumerevoli magagne fisiche, tuttavia, non possono far passare in secondo piano qualche incertezza dell’azzurro all’interno di un’annata resa ancora più complicata dalla separazione dopo sette anni con Riccardo Piatti avvenuta alla metà di febbraio. Da lì una scelta ben precisa, quella di far accomodare nel suo angolo Simone Vagnozzi, ex allenatore di Marco Cecchinato (da giugno affiancato dal ‘super coach’ australiano Darren Cahill), con l’obiettivo ben preciso di arricchire il proprio bagaglio tecnico, un passo difficile ma strettamente necessario in presenza di un tennis in continua evoluzione. I miglioramenti, trascorsa qualche necessaria settimana per assimilare i nuovi concetti, sono stati tangibili.
Sinner, da lavoratore instancabile qual è, si è messo in gioco con successo sviluppando nuove traiettorie al servizio ma soprattutto un’impensabile predisposizione alla volèe ed alla palla corta, colpi ancora un po’ grezzi tecnicamente ma eseguiti con sicurezza. Questi, insieme alle variazioni con lo slice di rovescio, gli consentono di poter finalmente sfoggiare un piano B in sostituzione al bruto martellamento da fondocampo con il dritto ed il rovescio bimane. Un puzzle ancora da completare, una tela su cui lavorare alacremente per i suoi allenatori, primi ad intravedere la possibilità di rendere Sinner un tennista a tutto tondo, completo in ogni reparto del campo.
Nel mezzo tanta pratica, buonissimi piazzamenti negli Slam ed in alcuni Masters 1000, un torneo vinto sul rosso di Umago ma anche la sensazione che, con un po’ di killer instinct in più, si poteva davvero fare il grande colpo. Grida vendetta in particolare il quarto di finale a Flushing Meadows contro lo spagnolo Carlos Alcaraz, perso dopo oltre cinque ore di lotta e condito da un match point non sfruttato sul proprio servizio nel quarto set ed un break di vantaggio gestito male in quello decisivo. Peccati veniali, certo, facendo riferimento alla carta d’identità dell’azzurro, ma comunque da non sottovalutare per evitare di ripeterli in futuro.
In un periodo storico in cui fare paragoni e stillare classifiche è diventata pratica comune, inoltre, è legittimo avere un pizzico di amaro in bocca vedendo lo stesso ‘Carlitos’ vincitore di uno Slam e numero uno al mondo oppure il danese Holger Rune trionfatore a Parigi-Bercy, tutti ragazzi che Jannik spesso domina nel palleggio ed intimorisce con l’atteggiamento. A Sinner, per entrare di diritto nella cerchia dei migliori al mondo, manca solamente l’exploit, quello che ben presto è destinato ad arrivare se lasciato in pace dagli infortuni ed accompagnato da una maggior ferocia, indispensabile per infliggere la spallata definitiva ad incontri ed avversari.
La base è già solidissima e fa intravedere un presente ed un futuro elettrizzanti. Il suo rifiuto della sconfitta non è normale, così come la capacità mentale di fuoriuscire da situazioni apparentemente irrecuperabili. Caratteristiche che gli sono valse la stima ed il rispetto di tutti i colleghi insieme alla calma e glacialità tipiche altoatesine, in contrasto con le fiamme che sprigiona la pallina quando incoccia il piatto corde della sua racchetta. Rammaricarsi per la stagione di un tennista di appena vent’anni che può vantare due quarti di finale Slam ed un titolo può sembrare esagerato. Ma siamo veramente in presenza di un giocatore dalle potenzialità ancora inesplorate, sia per sfortuna sia per demeriti. Nel 2023, però, la continuità (tecnica ma soprattutto fisica) diventa più di un imperativo.