“Un episodio che ho cercato in diversi modi di rimuovere dalla mia vita, a distanza quasi di 11 anni esatti torna vivido nella mia mente. Era il 21 agosto del 2013 quando ad un controllo antidoping a sorpresa risultai positivo per una quantità infinitesimale di una sostanza che non avevo mai sentito prima di allora. Il maledetto Clostebol, principio attivo di una pomata usata per il trattamento di tagli, escoriazioni della pelle e simili. Il giorno dopo la squadra mi sospese e un mese dopo mi licenziò, un giornalista (del quale non faccio il nome, ma ricordo molto bene) scrisse della mia positività riferendo che il clostebol fosse stato largamente usato nel doping di stato dalla Germania orientale”. Lo ha scritto in un post su Facebook, riportato dall’Ansa, l’ex ciclista Stefano Agostini, che per una lieve positività al Clostebol fu squalificato per 15 mesi, nonostante un quantitativo minimo, analogo a suo dire a quello trovato nel test su Jannik Sinner, che lasciasse presagire anche nel suo caso una contaminazione involontaria.
Altra federazione, altro sport, ma quantità analoga e due pesi e due misure secondo l’ex corridore che smise poi di correre a 24 anni, incapace di accettare la pesante sanzione dell’UCI: “Per mesi cercai di spiegare all’UCI come mai si trovassero nel mio corpo quei 0,7 nanogrammi e fu chiaro a tutti che non ci fosse stato nessun intento di alterare qualsiasi prestazione. Seguendo i regolamenti WADA mi diedero 15 mesi di squalifica (un anno e 3 mesi). Non riuscii ad accettarlo. Smisi di correre a 24 anni”.
Quindi un pensiero conclusivo: “Ad Aprile del 2024 il miglior tennista del mondo a 23 anni risulta positivo per la stessa quantità alla stessa sostanza, ma per lungo tempo nessuno ne sa nulla e dopo quattro mesi di silenzio (che lo porteranno a saltare le Olimpiadi per una “tonsillite”) viene assolto. Sono felice per lui perché sono certo, come è stato nel mio caso, che l’assunzione non fosse mirata a migliorare la prestazione sportiva, ma allo stesso tempo resto perplesso per la totale differenza di approccio rispetto a due atleti, entrambi professionisti (non voglio fare paragoni), che praticano sport diversi”.