Quando Maria Sharapova ha annunciato una conferenza stampa per un “major announcement” le ipotesi si sono sprecate, ma quelle più credibili sul tavolo erano due: o si ritira o è incinta. C’era chi ipotizzava un possibile lancio di qualche progetto, ma il tono e la tempistica dell’annuncio erano tali da rendere meno plausibile questa ipotesi. Pochi, però, credo si aspettassero l’annuncio di una positività ad un controllo anti-doping.
La versione dei fatti di Masha è stata abbastanza chiara: ho preso per dieci anni una sostanza permessa dai regolamenti e usata per curare il diabete, mi faceva stare bene e ho continuato a prenderla, poi è arrivata una mail dall’ITF nella quale era comunicata la proibizione del farmaco e io non ho letto il link informativo nella mail.
La prima riflessione che mi è venuta, da malato delle parole, è stata che la Sharapova da un lato ha detto di non aver letto la mail e dall’altro ha specificato di non essere al corrente del fatto che Meldonium e Mildronate fossero la stessa cosa. A che serve specificarlo se tanto la mail non l’hai letta? Ma vabbè, mi dico, l’avrà letto dopo, non stiamo a guardare alle virgole e analizziamo la vicenda lucidamente.
Ecco, analizziamola.
La prima cosa che si nota è l’uso insistente, quasi ossessivo, della parola “Io”. Perché?
La Sharapova in poche parole racconta una storia: quella di un’atleta che prende per anni un farmaco, prescritto dal medico di famiglia, totalmente inconsapevole dei possibili miglioramenti che quel farmaco potesse causare, per poi non identificare il farmaco in una lista aggiornata che lei avrebbe dovuto controllare e non ha fatto. Questo porta a una seconda domanda: perché porre così tanto l’accento sui dieci anni precedenti, quelli che avranno rilevanza zero in sede disciplinare? Proviamo a rispondere alla domanda.
Quando un atleta viene colto in fallo all’antidoping ha due grandi armi per limitare le conseguenze della cosa a livello di immagine: l’empatia dei fan e il garantismo delle persone ragionevoli.
L’empatia dei fan è comunque assicurata, il garantismo se si parla dei dieci anni precedenti non è neanche necessario: il farmaco non era proibito, punto. Nessuna conseguenza disciplinare diretta: casomai potrebbe essere maggiore l’impatto sulla sentenza per la violazione del 2016 qualora non dovesse essere dimostrato chiaramente che il farmaco era preso per motivi medici e con tempistiche corrette (la casa produttrice ha dato come uso medio un paio di mesi, non dieci anni…), ma resta un fatto che se non ci fosse stata quella il comportamento della Sharapova non sarebbe stato sanzionabile. Provate a immaginare, però, cosa sarebbe successo se la Sharapova fosse andata in conferenza stampa dicendo: “Sapevo che quel farmaco era un doping legale ma l’ho preso tanto era permesso, poi non mi sono accorta che era diventato illegale”. Apriti cielo.
A quel punto Masha sarebbe stata sempre intoccabile (per i dieci anni precedenti) da un punto di vista “legale”, ma da un punto di vista etico le ripercussioni a livello di immagine sarebbero state devastanti. E qui arriviamo ad un altro punto: la Sharapova è un’atleta non troppo lontana dalla fine della carriera e ha diversificato le sue attività, creando brand di successo capaci di sopravvivere alla sua parabola agonistica e in grado di mantenere alta la sua notorietà anche dopo che avrà appeso la sua racchetta al chiodo. In altre parole, per la Sharapova saltare qualche torneo è un danno marginale se paragonato a quello di un crollo delle vendite delle Sugarpova o di qualunque altro brand commerciale a lei legato, per non parlare delle cospicue sponsorizzazioni.
I possibili danni di immagine, qui, sono maggiori di quelli professionali. Se Nike,Tag Heuer e Porsche ti mollano, sossoldi.
E allora forse si spiega anche la premura di specificare che lei no, non era consapevole degli effetti del Meldonium. Effetti, si badi bene, non catastrofici: non stiamo parlando di doping di alto livello, ma di piccoli miglioramenti delle prestazioni, specialmente a livello di recupero da sforzo. Niente che rivoluzioni realmente un atleta, ma pur sempre qualcosa che “Se è legale, meglio avercelo che non avercelo”. A patto che i rischi siano pari a zero, chiaramente. Se iniziano ad esserci rischi di immagine, allora bisogna raccontare una storia credibile.
Ma la storia è credibile?
Mi limito a porre qualche domanda.
1) Il Meldonium è un farmaco commercializzato solo nelle regioni russe, ed è un anti-ischemico. Gli effetti sul diabete non sono ritenuti primari e, allo stesso modo, l’ictus non è certamente una delle maggiori preoccupazioni per un’atleta giovane. Perché, con tanti farmaci a disposizione, utilizzare proprio quello? Perché te l’ha prescritto il medico di famiglia? E quanto può contare il medico di famiglia nella gestione di una personalità internazionale come Masha?
2) Non essendo un farmaco noto, è credibile che la Sharapova per anni l’abbia assunto essendo inconsapevole degli effetti? È possibile che non sapesse che facilitava il recupero da sforzo? A certi livelli, e con certi atleti, coi farmaci non si scherza: una medicina può avere un effetto dopante ma anche fare danni. Quanto è realistico pensare che lo staff medico della Sharapova non abbia analizzato il farmaco in questione? Secondo questa logica, in teoria Masha avrebbe potuto assumere una versione russa dello Xanax indicata anche per combattere le cefalee, presentandosi in campo addormentata. È realistico pensare ciò?
3) La Sharapova legge personalmente le mail della Wada con le liste dei farmaci, contenenti informazioni tecniche che lei, per formazione, non può avere? Non ha nessuno che legge quelle mail per lei e controlla che sia tutto ok?
Intendiamo, qui un casino colossale da qualcuno è stato fatto: quel qualcuno probabilmente ha mancato un double check sui nomi dei prodotti e magari non ha identificato l’equivalenza tra Meldonium e Mildronate. Se però credere a una singola puttanata (perdonate il francesismo) è possibile, quanto lo è credere a dieci anni di assunzione di un farmaco senza avere la consapevolezza degli effetti collaterali?
Non ci sarà un processo su questo, perché non può esserci. Su quei dieci anni di Meldonium l’unica cosa che peserà sarà la percezione dei fan e la credibilità della storia raccontata.
Nessuno me ne voglia se proprio non riesco a farmela scendere giù.