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Ruben Ramirez Hidalgo, ex specialista dei campi in terra battuta, ha rilasciato un’interessante intervista strutturata all’interno del podcast condotto da Luca Fiorino intitolato “Tennis ai tempi del Coronavirus”. Il tennista spagnolo, ex top 50 nel 2006 e ancora oggi leader assoluto nella storia in termini di vittorie acquisite a livello Challenger, ha ripercorso la sua carriera e spaziato su tanti argomenti passati e attuali.
Com’è la situazione in Spagna?
“Sto bene, sono dentro casa da un po’ di giorni. Come nella maggior parte dei paesi nel mondo non possiamo uscire e sono sinceramente preoccupato per questo momento che stiamo attraversando. In Spagna la situazione è più indietro rispetto all’Italia. Siamo ora nel picco e i casi di morti aumentano giorno dopo giorno. Disposizioni? Dovremo stare in casa fino all’11 aprile ma potrebbe questa periodo allungarsi di ulteriori due settimane. Gli ospedali sono al collasso in tutte le parti di Spagna, Madrid e il nord della Spagna in particolar modo sono le parti più colpite. Siamo tutti preoccupati per ciò che accadrà”.
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Come procede il lavoro con Pedro Sousa?
“È il secondo anno che lavoro con lui. È un giocatore col quale mi trovo bene perché è un ragazzo molto tranquillo fuori dal campo. Stiamo provando a cambiare le cose per cercare di entrare nella top 100. Ha molto talento, più di quello che dice la sua attuale classifica. Gli ho spiegato che ha 30 anni non 20 e il tempo passa velocemente, molte cose dobbiamo farle ora per entrare nei 100 di nuovo. Il tennis ce l’ha ma può dare di più e arrivare 70-80 impegnandosi ancora di più”.
La storia recente del tennis insegna che le carriere si sono allungate a differenza magari di 20 anni fa. Sei d’accordo?
“Nella mia epoca non era così, ora si raggiungano posizioni alte anche in età avanzata. Si guarda molto all’aspetto atletico e all’alimentazione, c’è più tempo per giocare quando si cura il fisico in questo modo. Con allenamenti duri si può arrivare in alto senza fretta ma serve portare calma e pazienza. A patto che si lavori bene”.
Quali sono le differenze sostanziale tra il tennis della tua epoca e quello attuale?
“Ai miei tempi c’erano due categorie di giocatori: terra e veloce. La differenza era più netta. I “terraioli” perdevano spesso con i migliori sul veloce e viceversa. Ora le superfici sono più simili e i giocatori moderni lavorano duro per adattarsi ad ogni circostanza. Si sta perdendo qualcosa dal punto di vista della tattica e della pazienza. Oggi vanno tutti a 2000 ovunque, pum pum pum, senza variazioni”.
Segui Sousa e lavori in un’accademia ad Alicante. Che ci puoi dire a riguardo?
“Siamo 3 allenatori con 12-13 giocatori, più 3 preparatori, un fisioterapista e un mental coach. È un lavoro personalizzato, diverso dalle tipiche accademie: Ognuno ha il suo programma a seconda delle proprie caratteristiche. Abbiamo ragazzi giovani e di questi 13 cinque o sei sono under 12, 13, 14 che stanno ottenendo ottimi risultati. Sono loro i più piccoli; dopodiché altri sono 500-600 del mondo e vogliamo portarli nei challenger mentre due sono italiani (Alexaander Weis e Andrea Del Federico, ndr). Poi fra gli altri si allena da noi Roberto Ortega-Olmedo che gioca già i challenger e il prima citato Sousa che alterna, come detto, challenger e tornei ATP. È un gruppo grande e ben organizzato”.
Lì da voi avete anche Tommy Robredo: un esempio di abnegazione e dedizione.
“Tommy Robredo è qui con noi dal mese di dicembre. Ha avuto un problema al piede poiché si è fatto male nella preseason ma ora sta bene. Tommy è un esempio per tutti, nessuno escluso. Le carriere si allungano perché la passione per il tennis è fortissima. Si perdono velocità e potenza ma si compensa tutto con la mentalità”.
Qual è stato il segreto della tua carriera?
“Il cuore, senza dubbio. Ho sacrificato molte cose per il tennis. Non era solo un lavoro ma una passione meravigliosa. Apprendere da ogni occasione è stato l’aspetto fondamentale. Dobbiamo renderci conto che la carriera di un pro è più rapida di quel che si pensi. Ogni anno anno che passava mi dicevo: “Mi piace, devo andare avanti”. E sono arrivato fino ai 39. Non male, no? Poi arriva un momento in cui ci si rende conto che si perdono troppe partite, le motivazioni vengono meno e si capisce che bisogna dire basta. Mi dicevano “Vai avanti” ma mi veniva da ridere e ho detto basta”.
Ci spieghi il motivo della manica arrotolata fino alla spalla?
“A 20 anni non avevo grandi sponsor e supporto economico di alcun tipo. Poi ho avuto contratto con la Reebok. Un giorno mia madre entrò in camera mia con 7 scatole di roba e fui felicissimo ma poi mi resi conto che erano troppo grandi come taglia. Dopo ogni punto mi tiravo su la manica e questa “mania” me la sono poi portata avanti per tutta la mia carriera”.
Quali sono le partite più epiche che ricordi?
“Al mio torneo preferito sin da bambino, il Roland Garros. È la manifestazione che sogniamo tutti noi spagnoli che amiamo la terra battuta da sempre. Per noi “terraioli” c’è solo Parigi, per gli altri ci sono tutti e tre gli Slam. Ricordo come se fosse ieri il quarto turno raggiunto nel 2006 battendo David Ferrer. Il match con Federer? Ero 5-1 avanti al terzo contro di lui a Montecarlo; ero nervoso sì, potevo farcela ma poi penso di aver perso contro il migliore di sempre. Ho vinto più partite che ero dietro al terzo rispetto a quelle in cui ero avanti e ho perso. Come contro Marat Safin a Roma? Esattamente, altra partita assurda. Sono contento così, non ho rimpianti particolari. Ai ragazzi dico sempre che non è mai finita fino all’ultima palla: correre e combattere finché non ci si da la mano a rete”.
Al momento detieni il primato Challenger di più vittorie ottenute in singolare. Pensi che Lorenzi possa superarti? Tu ne hai vinte 423, lui 415.
“Lorenzi è eterno. Ho giocato in passato partite contro di lui che duravano due giorni. Mamma mia! È incredibile, ammiro di lui la sua grande attitudine in campo”.
Cosa pensi che succederà nel tennis dopo Nadal, Djokovic e Federer?
“Federer Nadal e Djokovic hanno dominato e continuano a farlo; chi arriva da dietro lo farà ma dominare come loro sarà difficile. Sono tre mostri sacri del tennis”.
Un tuo giudizio sui giovani italiani e spagnoli?
“Sinner, Musetti, Alcaraz Garfia hanno un grande futuro davanti. Sono molto diversi tra di loro ma hanno una mentalità pazzesca. Sinner specialmente ha dei colpi incredibili. Sono già molto competitivi alla loro età. Il futuro è dalla loro parte”.
Ti divertivi più sul campo o adesso da coach?
“Mi divertivo di più in campo che da allenatore. Quando giocavo davo il massimo e ciò mi dava grandi soddisfazioni. Lottando si può perdere ma si ha l’anima in pace. Da allenatore soffri dall’esterno e anche se sei direttamente coinvolto è differente”.
Qual è il sogno nel cassetto ora che fai l’allenatore?
“Mi piacerebbe essere ricordato come un allenatore migliore rispetto al Ruben giocatore. Questo è il mio obiettivo”.
(traduzione di Lorenzo Andreoli)
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