“Stefano, Stefano, Stefano, Stefano”. Il coro sul Pietrangeli è tutto per Stefano Napolitano. È un istante cruciale del secondo set contro il diciannovenne cinese Shang, un (forte) rappresentante della Next Gen ATP. Stefano ha perso un primo set surreale. Era avanti 4-2 0-40, poi 4-3 40-0, ma alla fine ha perso 7-3 al tiebreak. Il pubblico romano può sbagliare, ma una cosa è certa: capisce il momento. All’inizio del secondo parziale si fa sentire. Napolitano, attualmente senza coach, è supportato nel box da Stefano Massari, mental coach per anni al fianco di Matteo Berrettini. “Un essere umano speciale, una persona molto sensibile”, così lo definisce Napolitano.
Nel primo set Stefano è partito bene, spingendo e comandando quando possibile. A fine set però la tensione ha giocato un ruolo importante. Shang, invece, è andato in crescendo, lasciando andare bene il dritto mancino (braccio e mano piuttosto veloci). Il cinese dà l’impressione di saper rispondere sia da lontano, sia da vicino; sa difendere e attaccare. Quando la palla va veloce, si appoggia molto bene, se Napolitano la fa saltare giocando con profondità la musica cambia. E Stefano nel secondo set tatticamente è impeccabile. Shang pian piano si disunisce. Se da un lato Massari si fa sentire, anche solo con uno sguardo, dall’altro il cinese ha gli occhi verso il proprio box, da cui però non ottiene granché. Il match scivola via nelle mani di Napolitano 6-7(3) 6-1 6-0, ma gli spunti sono molteplici. “In questo periodo senza allenatore (in alcune settimane è stato seguito da Giacomo Oradini; ndr) ho attinto dalla mia memoria, dall’esperienza. Oggi, per esempio, mi è tornata in mente una partita nelle qualificazioni degli Australian Open 2018; anche in quel caso avevo perso il tiebreak del primo set. Ivan Ljubicic mi disse una frase che mi rimase impressa e che, contro Shang, ho ritrovato nella mia mente. A volte ci sono maestri inconsapevoli nel nostro cammino, che ci insegnano qualcosa senza rendersene conto. Io ho sempre parlato poco e ascoltato molto”. Immagazzinando molto.
Il rovescio di Napolitano, quando spinge, è splendido e incisivo. Se stringe l’angolo trova vincenti o, comunque, prende in mano lo scambio. Il dritto è il colpo che, anni fa, è stato tallone d’achille del piemontese. Oggi è più solido, molto più solido. A volte perde di pesantezza e lunghezza, ma quando Napolitano spinge con fiducia è un fondamentale decisamente migliorato. Fisicamente Stefano sta benissimo (ottimo il lavoro del preparatore fisico Flavio Di Giorgio) e porta a spasso il suo metro e novantasei come se i centimetri fossero 7/8 in meno. Il Pietrangeli è un campo molto lento e bisogna correre, ma c’è un aspetto del tennis di Napolitano che deve fare un ulteriore salto di qualità: il servizio. Da quell’altezza deve riuscire a fare ancor più male, sia con la prima che con la seconda. Sarà probabilmente questo il motivo per cui Stefano dovrà trovare un coach. “Ho imparato a fare tutto da solo, anche perché lo scorso anno quando giocavo i futures avevo finito il budget – spiega Napolitano –. Avevo speso i miei soldi per superare i problemi fisici. Adesso però, per migliorare tecnicamente, cercherò un allenatore. Non posso di certo guardarmi da fuori”.
Stefano ha superato tanti infortuni grazie a Verona al Magnitudo Training con Flavio Di Giorgio e Mariarita Tramonte, ma il pensiero sui problemi fisici è più ampio e, a tratti, illuminante. “Un libro che ha cambiato il mio modo di riflettere è ‘La biologia delle credenze’. Lo consiglio a tutti. Spiega di quanto il pensiero possa avere effetto sulla materia, sul corpo. Chissà, magari i tanti infortuni subiti in carriera derivano dalla maniera sbagliata in cui gestivo la pressione”. A 29 anni Stefano Napolitano è qui a vivere il momento migliore della carriera, con la testa giusta e una voglia smisurata. “Mi piacerebbe essere un esempio anche per i più giovani, a cui magari viene detto che a 22-23 anni devono assolutamente essere nella Top100. Non è così, ogni percorso fa storia a sé”.
La strada intrapresa da Napolitano è davvero un esempio. “Durante la pandemia ero proprio qui a Roma, dopo l’intervento al gomito, per svolgere la riabilitazione. Guardavo il Pietrangeli e pensavo: ‘è qui che voglio tornare, non mi ritiro, ci devo riuscire’”. E così, anni dopo, è stato. “Questo campo ha rappresentato per anni il mio obiettivo. Ho assaporato ogni momento di questa vittoria.” Il sogno è divenuto realtà.