
Luca Nardi - Foto Tnani Badreddine/DPPI / IPA Sport 2 / IPA
“Luca Nardi quando colpisce ferma la palla”. Questa frase, ripetuta come un mantra dal tecnico federale Luca Sbrascini, riflette perfettamente il tennis del talento pesarese, che tra Doha e Dubai sta portando a casa risultati importanti. Cosa si intende per ‘fermare la palla’? È come se Luca avesse la capacità di rallentare il tempo, stile Matrix, stoppando la pallina sul piatto corde per poi decidere cosa farne. Nardi muove il gioco come pochi, nascondendo all’avversario la direzione dei propri colpi; sa sorprendere, con soluzioni tanto varie quanto imprevedibili. In più ha mano, tanta mano. Quando si parla di talento, rispetto a Luca Nardi, si intende tutto ciò.
LA STORIA. Nato a Pesaro il 6 agosto del 2003, Luca inizia a giocare a tennis molto presto seguendo le orme del fratello Niccolò, di sette anni più grande. Le capacità di ‘Luchino’ si notano subito e dopo poche stagioni dopo vince tornei su tornei. Al Lemon Bowl, storico torneo giovanile internazionale che si svolge a Roma dal 1985, trionfa sia nella categoria under 10 che in quella under 12. Non fa fatica, mai. Anzi, a volte tende a rilassarsi per manifesta superiorità. Il rapporto con il tennis è sempre tranquillo, pacato; mai un gesto di rabbia né esultanze particolari. Tant’è vero che quando nel 2017 trionfa a Les Petit As, una sorta di campionato del mondo under 14, sorride e va semplicemente a stringere la mano all’avversario, il serbo Medjedovic, oggi numero 71 del mondo. Per capire il valore del torneo, che dagli 80 si svolge a Tarbes, in quel 2017 erano presenti: Carlos Alcaraz (uscito di scena negli ottavi), Holger Rune (battuto in semifinale proprio da Nardi), Mpetshi Perricard, Van Assche, Leo Borg e tanti altri. A livello nazionale Luca è inarrestabile e in Europa non è da meno. C’è chi lo vede (e non sono in pochi) superiore ad Alcaraz, che però lo sconfiggerà un paio di volte negli anni a seguire; anche a livello under 18 ottiene buoni (ma non ottimi risultati), raggiungendo la Top 20 di categoria.

LUCKY LOSER NEL SANGUE. Nel 2018, a quindici anni non ancora compiuti, gioca il suo primo torneo professionistico. Sulla terra battuta di Sassuolo Luchino viene sconfitto all’ultimo turno di qualificazioni ma, ripescato (proprio come avvenuto a Dubai), vince due match di fila: il cileno Bastian Malla, tra i primi 880 al mondo, e lo svizzero Louroi Martinez, in entrambi i casi al terzo set dopo aver perso il primo al tiebreak. Nei quarti, poi, si arrende a Peter Heller, tedesco vicino al numero 500 ATP, sempre in tre parziali. Tutto ciò a quattordici anni. Il futuro sembra assicurato, roseo. Il resto è storia.
IL RAGAZZO. Luca è sempre stato precoce tennisticamente, meno umanamente. È stato bambinone (non che sia un difetto, anzi) per più tempo rispetto ai coetanei, a volte non iper professionale, molto legato alla famiglia. Ancora oggi, come ha più volte spiegato, fa fatica a rimanere tante settimane lontano dalla sua Pesaro. Attualmente è senza coach, anche perché non è semplicissimo da allenare. Ci hanno provato in tanti: da Roberto Antonini a Federico Ricci passando per Giorgio Galimberti e, per alcune settimane, Stefano Pescosolido. Tutti grandi professionisti. Si potrebbe pensare a un ‘mangia-allenatori’, ma non è esattamente così. La sensazione è che, in questo momento della carriera, Luca abbia bisogno più di qualcuno che riesca a farlo stare bene, tenendolo sereno e spensierato, che un vero e proprio coach (che, per forza di cose, andrà comunque trovato). Non a caso, a Dubai, è presente il fratello Niccolò, ancora una volta fondamentale nella carriera del fratello minore.
IL FUTURO. Non esiste una strada unica da percorrere per avere successo nel tennis. Anzi, è esattamente la disciplina che prevede percorsi, per diversi giocatori, completamente opposti eppur ugualmente corretti. È difficile prevedere quale possa essere l’evoluzione della carriera di Luca Nardi, del quale oggi si apprezza un tennis più solido, consapevole (“Mi hanno detto per anni che ero bravo, ma mi sono sempre un po’ sottovalutato. Ed è solo da 2-3 anni che ho deciso di fare il tennista professionista”), voglioso e convinto di poter vincere (quasi) con chiunque, come dimostrano in tre set con Alcaraz a Doha o il successo dello scorso anno a Indian Wells su Novak Djokovic. La certezza è che abbia il livello per competere nel circuito ATP e che, allenatore o meno, sappia al momento come gestirsi. Guardarlo giocare è un piacere per gli occhi. Dal vivo il suono del suo impatto è paradisiaco. È altrettanto chiaro che le potenzialità siano elevatissime, sicuramente da Top 20 mondiale, ma per questo step ci vorrà un cambio di marcia sotto tutti gli aspetti, soprattutto mentale e fisico. Non è detto, però, che per realizzare tale obiettivo debba stare in campo (o in palestra) otto ore al giorno. La storia del tennis è piena di giocatori che, mentalmente, avevano bisogna di staccare dal tennis per potervi poi tornare ad alto livello. L’esempio principe è stato probabilmente David Nalbandian. Già così, comunque, Luca Nardi è uno spettacolo. E guai a chi ce lo tocca.
–