Jannik Sinner ha un superpotere. Ormai è chiaro. La sua forza mentale non ha limiti. Subito dopo il trionfo agli Australian Open, a precisa domanda sul lavoro da svolgere nei mesi a seguire, l’azzurro era stato molto preciso: fisico, tecnica e “posso migliorare ancora un po’ anche mentalmente”. Qualcuno sorrise, (solo apparentemente) a ragione. Ma come, sei rimasto impassibile al set vinto da Nole in semifinale (dominando il quarto parziale), hai recuperato una situazione disperata in finale con Medvedev, e devi migliorare psicologicamente? La verità è che Jannik vede sempre oltre, è consapevole degli step da superare per salire di livello. E così accade anno dopo anno. Anzi, mese dopo mese. Certo, probabilmente non avrebbe pensato di dover affrontare una vicenda (enorme) legata a una positività per doping.
Vittoria a Miami, semifinale a Montecarlo, quarti a Madrid giocando con un’anca sola, semifinale a Parigi (sconfitto in 5 set da Alcaraz) senza allenamento, trionfo ad Halle, quarti a Wimbledon, vittoria a Cincinnati. Tutto questo con la spada di Damocle della sentenza in arrivo. Ogni giorno, ogni ora, sempre. E poi, pochi giorni prima dell’esordio a New York, la notizia che diventa di dominio pubblico, gli attacchi di colleghi (più o meno palesi), addetti ai lavori e tifosi. Quasi tutti, in quella settimana, hanno voluto commentare l’accaduto. Quasi nessuno, in quella settimana, ha letto le 33 pagine della sentenza. Jannik ha giocato (e vinto molto) nei mesi più duri della sua carriera. Agli US Open ha sofferto un’oretta, sino al 6-2 1-0 e servizio McDonald (per l’occasione travestitosi da Agassi). La sensazione era di vedere un tennista assente, forse per la prima volta, dal campo. Ma il superpotere è venuto in soccorso, come nei fumetti più noti. Sinner ha tirato su un game infinito grazie a quella forza mentale che – aveva ragione lui – è entrata in una nuova dimensione. E, così, si è scrollato di dosso quel macigno. Da lì in poi è cambiato il suo torneo, il superpotere ha cambiato la storia. Non va ovviamente sottovalutato l’apporto e il supporto di Simone Vagnozzi e Darren Cahill, che da coach di livello internazionale sono diventati una sorta di fratello maggiore e di zio.
La forza mentale è stata fondamentale per un’altra ragione: Sinner a New York ha giocato un tennis buono (per i suoi standard), ma non eccezionale. Ha alzato il livello nei momenti importanti: nel primo set contro Paul da 1-4, nel secondo parziale contro Draper giocando un tiebreak di rara perfezione e bellezza, nel terzo set della finale sotto 3-5. Senza fare paragoni tennistici, ma solamente psicologici: Jannik ha vinto Melbourne alla Federer ‘prime’ (tennis champagne e dominio quasi assoluto) e New York alla Djokovic (solidità, capacità di superare l’errore, livello altissimo nelle fasi cruciali).
Jannik potrà sempre attingere al suo superpotere, ma sa benissimo di dover crescere ancora. E soprattutto di volerlo fare. Mats Wilander, in una recente intervista a Supertennis TV, ha dichiarato di aver commesso un grave errore nel non migliorarsi una volta raggiunto il numero 1 del mondo; e che, invece, Sinner stava facendo esattamente il contrario. Non è una speranza, trattasi di certezza: Jannik lavorerà ogni giorno per sviluppare nuovi armi e contromisure tecniche, tattiche, fisiche e mentali perché in effetti potrebbe, per dirla alla Sinner, migliorare ancora un po’.