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Brancaccio e gli effetti collaterali di un tennis che non può fare a meno delle scommesse

Raul Brancaccio - Foto Ufficio Stampa Master Group Sport | Edoardo Decampora

Tennis e scommesse. Uno sfizio per gli appassionati, un problema per i giocatori e un settore lucrativo per ATP, WTA, ITF, tornei e malintenzionati. Il dramma sportivo di Raul Brancaccio, sconfitto nella sua Napoli dopo aver fallito sette match point e con il pubblico partenopeo ‘inaspettatamente’ a favore del francese Herbert, ha riportato in auge un tema ciclicamente discusso e con diversi piani di dibattito. Le immagini che si sono susseguite al Tennis Club Napoli hanno lasciato un senso di malinconia, che trascende la delusione personale vissuta dall’atleta italiano, sollevando preoccupazioni riguardo all’influenza crescente di un fenomeno che tra le tante controindicazioni ha quello di mettere in ombra il retaggio del lawn tennis: il rispetto per il silenzio e il divieto di esprimere a gran voce le proprie emozioni durante il gioco. Un triste addio alle nobili tradizioni che caratterizzavano tutto ciò che circonda il mondo della racchetta. 

LO SFOGO DI RAUL BRANCACCIO

Nell’era del tennis entertainment, a dirla tutta ancora alla ricerca della sua nuova identità, forse sarebbe stato chiedere troppo. Prima ancora di approfondire le varie sfumature di questa discussione, si può già arrivare alla conclusione. Quando ci si interroga se le organizzazioni si prodigheranno per cambiare qualcosa, per proteggere i loro giocatori dagli insulti ricevuti sia direttamente in campo che, in modo ancor più plateale, attraverso i social media, o se adotteranno misure per regolamentare il settore delle scommesse, la risposta tende verso un semplice “no”. 

Prendendo in prestito la vicenda di Napoli e precisando che l’intenso tifo da parte degli  scommettitori, non sia un fenomeno esclusivo di questa città né, tantomeno, limitato al contesto italiano, emerge spontanea tra gli appassionati, particolarmente quelli non coinvolti in tali pratiche, una domanda ricorrente: è davvero consentito scommettere dal vivo? Puntare su un evento al quale si sta assistendo non è considerato illegale. L’unico problema legato a ciò nasce dall’eccessivo entusiasmo e comportamento scorretto di alcuni tifosi, una situazione a cui il tennis non era tradizionalmente abituato. Campi secondari dei grandi tornei, Challenger e Futures sono per ovvi motivi i palcoscenici più esposti. 

Per le grandi organizzazioni del tennis, non sorgono particolari problemi se non quando si tratta della trasmissione in tempo reale dei risultati e delle dinamiche legate al courtside betting. In effetti, nel tennis, benché in misura minore rispetto al passato, è ancora possibile sfruttare il breve intervallo tra il termine di un punto e la sua registrazione ufficiale sul tablet dell’arbitro per realizzare profitti certi. Sebbene questa pratica non sia considerata illegale, dato che non influisce direttamente sul risultato dell’incontro, a nessuno piace l’idea di perdere soldi. Di conseguenza, entra in gioco l‘International Tennis Integrity Agency (ITIA), un’organizzazione dedicata alla salvaguardia dell’integrità del tennis professionistico. Nonostante l’assenza di specifiche violazioni legali, i proprietari dei club o delle arene che ospitano i tornei, essendo strutture private, hanno il diritto di allontanare chiunque si dedichi a tali attività. Di fatto, viene proibito un certo comportamento, spesso monitorato sugli spalti da persone preposte da chi detiene i diritti delle scommesse.

La gestione dei contratti per la distribuzione dei diritti di streaming di dati e scommesse è una miniera d’oro, il che costituisce il fondamento dell’impossibilità nel riformare l’attuale sistema. La grandezza delle somme coinvolte negli accordi di ITF con Infront, WTA con Stats Perform e ATP con Sportradar (entrata dopo l’uscita presa a metà dei 6 anni del precedente accordo con IMG Arena) è tale che le cifre specifiche non vengono divulgate ufficialmente. È noto però che l’ITF dalla vendita di questi diritti abbia generato 20,8 milioni di dollari nel 2022, cifra quasi raddoppiata rispetto agli 11,4 milioni di dollari nel 2021. L’accordo ITF-Infront prevede la copertura dei dati per oltre 58.000 partite all’anno e la produzione di oltre 23.000 partite all’anno per lo streaming sui siti di scommesse. Questa modalità operativa, seppur con variazioni, viene adottata sia a livello di ATP che di WTA, delineando un panorama in cui le scommesse costituiscono una porzione considerevole del sostentamento del circuito tennistico minore.

Adottando il celebre principio attribuito a Giulio Cesare, “Se non puoi sconfiggerli, allora unisciti a loro”, il mondo del tennis ha saputo interpretare questo consiglio con saggezza. E i giocatori? Per loro nessun posto al ricco tavolo, nonostante sia proprio su di loro che si fondano i successi del settore. In cambio una piccola fetta di torta e la piaga dei match giocati in atmosfere surreali, all’ordine del giorno i cambi di tifo alla fine del primo set, nonché i tanti insulti sui social media. Questo scenario sottolinea una problematica radicata nella cultura sportiva, aggravata dal silenzio assordante delle figure apicali del settore. Indipendentemente dall’esito delle partite, i messaggi denigratori sono tanti e per ogni atleta. Alcuni, stanchi di tale situazione, decidono di far sentire la loro voce, condividendo screenshot o pubblicando video. Non si va mai oltre il supporto tra colleghi, i tennisti si trovano abbandonati e spesso prestano solo il fianco a ulteriori attacchi. Il nocciolo della questione, tralasciando le considerazioni morali, è l’interpretazione del fenomeno scommesse come un male inevitabile. Delizia quando riempie gli spalti dei tornei e aumenta l’interesse per la disciplina; croce, perché chi non conosce la disciplina si approccia agli atleti professionisti trattandoli come se fossero figuranti di uno spettacolo. Purtroppo Raul non sarà l’ultimo a farne le spese.

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