Il numero 1 del tennis ha conquistato tutti: alla scoperta dei lati più nascosti del campione di San Candido, tra pizza, sushi e Milan
E pensare che ama stare al pc, la discoteca no ma giocare a carte sì. E segue il calcio, e tifa Milan. E non disdegna affatto i piaceri della tavola: non fosse tanto per i tirtlan (specie di frittelle di farina di segale e di frumento ripiene con spinaci e ricotta, che si accompagnano alla minestra d’orzo): quello è il piatto della casa, che è la Val Pusteria.
Ma la pizza, il sushi, i dolci. E la burrata pugliese, che sul pane caldo è una delizia al palato… Insomma, sembra proprio uno come noi Jannik Sinner. Persino incline alle debolezze. Meglio ancora, proprio come un ragazzo della sua età, 23 anni. Poi lo vedi a fondo campo con la racchetta in mano – scegliete voi la superficie – e il pc davanti al quale ama stare nel tempo libero sembra essergli entrato nel corpo per possederlo e renderlo una macchina imbattibile. Per chiunque. Hanno provato a vivisezionarlo tennisticamente, per andare a cogliere un punto debole, il punto debole – ne basterebbe uno soltanto – da cui incunearsi per andare a creare il corto circuito rispetto alla perfezione.
Se poi state a sentir lui vi dirà che perfetti non si diventa mai, che solo e soltanto il lavoro può farti migliorare. Ecco, forse la più grande frustrazione di chi lo ha incontrato fino a oggi (e di chi lo incontrerà da domani) è stata e sarà quella di lavorare, lavorare e lavorare ancora per migliorare… e perdere. Perché fino ad oggi migliori di lui non si è riusciti ad essere. Forse anche perché nella sua testa ballano questi pensieri qui: “Il talento non esiste, bisogna guadagnarselo. Puoi avere capacità leggermente migliori, ma solamente se lavori andrai più in alto. Chi lavora è quello che ha talento“. Vallo a demolire uno così.
E già, prova a capirlo per batterlo Jannik: ti infili in un rompicapo da mal di testa per chiunque. Prova a scardinare il palleggio aggressivo da campo, prova a fiaccare quel dritto a tutto braccio, quel backswing a due mani tanto naturale e lineare, sempre così poco forzato ma rapido e preciso, tanto da alimentare quei lungolinea incrociati che hanno lasciato sulle ginocchia grandi firme del tennis dal mondo.
Niente, tutto impossibile contro Sinner. Sul servizio ha scelto di lavorarci lui, ore ed ore, alimentando quella maniacale tendenza al perfezionismo che c’è eccome e che distingue il numero uno al mondo da tutti gli altri.
Su una percentuale alta di seconde palle – l’arma che ha voluto sviluppare per avere la via di fuga efficace se la prima di servizio non decolla – per esempio, ha costruito la fenomenale rimonta contro Medvedev nella finale degli Australian Open. Quel 3-6 3-6 che avrebbe steso psicologicamente tanti, non ha scalfito il Freddo del Tennis mondiale, che a Melbourne ha infilato in sequenza un 6-4 6-4 6-3 ribaltando la psicologia di quella finale a proprio vantaggio e mandando in tilt il russo.
Pensare che l’infanzia aveva creato persino il dubbio sulla scelta agonistica da compiere. E solo una grande passione poteva far pendere la bilancia dell’opzione definitiva dalla parte del tennis e non dello sci. Quando la tua vita è tra San Candido, Dobbiaco, Brunico, diventa più naturale assecondare l’idea che il destino ti abbia affidato il compito di sfidare il mondo (o almeno provarci) facendo leva sul naturale prolungamento delle gambe e dei piedi, che non con quello delle braccia e delle mani.
Sinner, la scelta coraggiosa del tennis
E invece tutto oltre il normale ordine delle cose – o almeno che sembra tale – alla fine è stato tennis, Bordighera e la Liguria in tenerissima età per seguire il maestro. Scelte non facili, coraggiose se compiute alle porte della prima adolescenza. Jannik le ha sostenute sentendo sempre la famiglia al fianco per accompagnarlo anche solo idealmente e alle spalle per sostenerlo: papà Hanspeter, mamma Siglinde e Mark, il fratello adottato quando lui non era ancora nato.
Per il papà chef e la mamma cameriera, impegnati a lavorare al Rifugio Fondovalle (Talschlusshütte) in val Fiscalina, pensare di muoversi non poteva nemmeno essere contemplato. “Voglio diventare il numero uno al mondo“, questo pensiero ripetuto a se stesso è diventato un mantra. E in quattro anni, dal 2020 ad oggi, Jannik Sinner lo ha trasformato in una straordinaria realtà: da Top 100 a Top 10 a Top dei Top, conquistando il mondo e passando attraverso la complessa vicenda del doping dalla quale il tennista italiano è stato assolto per opera di un tribunale sportivo indipendente, l’International Tennis Integrity Agency.
Se il 2023 era stato un anno magico, Robo-Sinner ha saputo trasformare il 2024 in qualcosa di inimmaginabile. E questa è forse una delle grandi doti a cui ci ha abituato Jannik: la vittoria inseguita senza dare volto alla sofferenza, alla fatica, la normalizzazione della grande impresa in qualcosa che per tutti sarebbe complicato ma per lui no. Dopo aver eguagliato la grande icona del tennis italiano che risponde al nome di Adriano Panatta, ha deciso di ingaggiare sistematici duelli con Djokovic, contro cui ha vinto e perso, ma chiedete a Nole cosa gli possano aver lasciato dentro certe sconfitte per uno abituato a non perdere mai.
L’anno che sta per finire è quello in cui Sinner ha vinto due Slam – cosa mai successa ad un tennista italiano – l’Australian a Melbourne e l’US a New York contro Fritz. Ha dominato a Rotterdam, Miami, Halle, Cincinnati. Ha concesso il bis in Davis contribuendo con i compagni di squadra Berrettini, Vavassori, Musetti e Bolelli a bissare il successo dell’anno prima che sempre Volandri da ct aveva raggiunto ancora con lui, Mosetti e Bolelli più Sonego, Arnaldi.
La sconfitta è un’ossessione con cui è meglio non confrontarsi. Vale per tanti campioni, figurarsi per yannick: “Odio perdere anche a carte e non vincere un match mi leva il sonno“. Questo porta Jannik nell’Olimpo dei migliori, insieme alla cura costante dei particolari, alle ore di allenamento senza lesinarsi mai. E a quel senso di piedi per terra che diventa un segreto, una qualità da cui non puoi prescindere, perché a farti volare ci pensano gli altri e tu devi solo preoccuparti non farti cullare dentro i sogni che fanno male. “Giocare a tennis è un privilegio”. Ecco, Jannik Sinner lo dice e lo pensa anche. E sa che se la sua testa cominciasse a suggerirgli altro sarebbe quello il suo peggior nemico, si infilerebbe allora quel tarlo della battibilità che rischierebbe seriamente di spezzare l’incantesimo, la magia, il sogno diventato realtà.
Non paragonatelo a nessuno come qualcuno ha provato già a fare, da Alberto Tomba a Valentino Rossi. Sinner the Fox – il soprannome di gioventù, perché il rosso dei capelli diventa quasi una sentenza se vai a caccia di nomignoli – sa dove è arrivato in quattro anni accelerando e scalando la vetta del tennis mondiale. E sa dove continuare ad andare. Le montagne – e che montagne – gli hanno riempito gli occhi dall’infanzia alimentandogli il senso della grandezza e quello della sfida al tempo stesso. E Wimbledon, come Roland Garros sono grandi vette ancora da conquistare. Michael Schumacher sosteneva che “nello sport non potrà mai esistere un momento uguale ad un altro“. Questo Yannick lo sa: e i suoi momenti di gloria vuole respirarseli tutti.