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“Avevo il desiderio di veder vincere ancora la Davis all’Italia, l’ho realizzato. È una Coppa un po’ degradata, sminuita. Non è più la mia, di cui rimango recordman di incontri in azzurro. Per carità, i tempi cambiano e uno si adegua, sennò sarebbe stupido. Ma non farei cambio”. Lo dice Nicola Pietrangeli, in una breve intervista al Corriere della Sera, dopo il trionfo dell’Italdavis, tornata sul tetto del mondo 47 anni dopo il successo di Santiago, dove Pietrangeli era capitano.
Si sprecano, ovviamente, i paragoni sui tennisti italiani, tra chi ha fatto la storia e chi la sta facendo e continuerà nel prossimo futuro: “Ognuno è campione nell’epoca sua e il più forte tennista italiano lo vedremo alla fine della carriera di Jannik, quando io non ci sarò più. Non ho mai detto che ero migliore di Panatta. Sinner non si guarda, si ascolta: quel rumore quando colpisce la palla non lo fa nessun altro”, dice.
I tempi sono cambiati: “È un altro tennis, non dico che il mio era migliore però una volta bisognava almeno saper giocare”. Un chiaro riferimento ai cambi di materiale e alle vecchie racchette di legno che furono. Ma l’impresa viene riconosciuta: “Una squadra giovane e piena di talento, vincerà tanto. E Sinner è un carro armato, anche se io di doppi ne ho vinti 31 di fila”.
“Per la Davis del 1976 ho sempre detto che il merito sportivo era solo dei giocatori. Il merito mio che ancora oggi non condivido con nessuno è di averli portati là. Oggi è più semplice, molto più un gioco di squadra. Tutti insieme. In testa la federazione perché in genere si dimenticano sempre quelli che stanno dietro le quinte. Non voglio far loro una sviolinata ma bisogna dirgli che sono stati bravi. Binaghi ha cambiato la storia del tennis italiano”, ha invece dichiarato Pietrangeli al ritorno in Italia da Malaga.
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