“Siamo scoppiati in lacrime, dentro un abbraccio di quelli impossibili da dimenticare. Volevamo tutto questo da oltre dieci anni. Abbiamo lavorato duramente per raggiungere un obiettivo così importante e non vogliamo fermarci qui”.
Desiderata, bramata, agognata. La top 100 è da sempre uno degli step principali nella carriera di ogni tennista. La sogni da bambino, la prima volta che impugni una racchetta, e non l’abbandoni più. Poi si cresce, si matura, si vince, si perde e lei è lì, che fa capolino, che si avvicina e si allontana come fosse una chimera. Da sogno ad incubo, di quelli che levano il sonno. “Non mi avrai mai”, la senti sussurrare nei momenti più bui. Salvatore Caruso ce l’ha fatta. Il successo nel Challenger di Barcellona gli consegna con merito le chiavi per entrare nell’élite del tennis mondiale. Un traguardo importante, frutto del lavoro certosino portato avanti per oltre dieci anni insieme ad un coach di spessore come Paolo Cannova. Si sono trovati che “Salvo” non aveva alcun punto ATP. Ora, da numero 98 del mondo, è il momento di pensare in grande.
“Sono passate ormai più di ventiquattro ore – racconta Cannova – e con grande umiltà devo ammettere che non sono ancora riuscito a metabolizzare tutto ciò che è accaduto. Quella di Salvatore è una bella impresa, non un miracolo. Aver raggiunto la top 100 dopo tanti sacrifici è un traguardo importante, del quale siamo profondamente orgogliosi, ma non vogliamo fermarci qui. A mio avviso ci sono ancora notevoli margini di crescita e lavorando duramente si può migliorare ancora questa nuova classifica, scalando ulteriori posizioni. Per come vedo giocare Salvo e per l’esperienza che ho accumulato nel corso degli anni abbiamo il dovere di tenere vive determinate ambizioni. A Barcellona voleva vincere il titolo a tutti i costi e ci è riuscito pur non giocando il suo miglior tennis. La testa e la determinazione, ancora una volta, hanno fatto la differenza”.
Un anno intenso, il 2019, che ha consacrato tutte le qualità del ragazzo di Avola. “Entrare tra i primi cento del mondo è il primo, grande obiettivo di ogni giocatore – prosegue il coach siciliano – a partire dal momento in cui si impugna una racchetta da bambini. Tutti lottano e danno il massimo al fine di raggiungere questo traguardo, il difficile arriva dopo. Quest’anno volevamo che fosse quello del cambiamento, del grande passo, e ci siamo arrivati tramite un gioco straordinario, testimoniato dai risultati ottenuti al Roland Garros e ad Umago. L’infortunio nella semifinale con Lajovic, in Croazia, ci ha svegliato dal sogno più bello. Nella mente del giocatore, e con le debite proporzioni anche in quella dell’allenatore, si scatenano riflessioni negative che spesso vanno oltre la realtà dei fatti. Pensieri brutti, in grado di tirarti dentro ad un vortice dal quale non è affatto facile uscire. Ci siamo rialzati in fretta e abbiamo continuato a darci da fare con costanza e dedizione, superando un duro momento di stress. Ecco perché abbiamo vissuto il trionfo nel torneo di Barcellona con emozioni ancora più forti rispetto a quanto sarebbe stato vincere ad Umago. Ci siamo abbracciati dopo essere scoppiati in lacrime. È stato fantastico”.
Infine uno sguardo alla programmazione. “Ora ci prendiamo una settimana di pausa. Mi ero prefissato un breve stop qualora fossimo riusciti a tagliare questo traguardo perché sensazioni del genere vanno metabolizzate in un certo modo. Poi voleremo ad Anversa, dove difendiamo i punti conquistati lo scorso anno raggiungendo gli ottavi di finale. Nel caso in cui dovessimo confermarci, garantendoci un posto nel main draw degli Australian Open, l’idea è quella di iniziare a pensare alla prossima stagione, senza giocare altri tornei. Spremerci ulteriormente rischia di essere deleterio. Salvatore ha giocato tanto e bene. C’è stato un grande dispendio di energie, a livello fisico e mentale, che non si può e non si deve trascurare. Vogliamo un grande 2020”.