Ottobre 2008, Tennis Club Parioli, Roma.
No, non poteva saperne nulla. Federico Luzzi non poteva sapere che la sfida in Serie A1 contro Alessandro Accardo avrebbe rappresentato la sua ultima vittoria. Della carriera, della vita. Dall’altra parte delle rete c’è un talentuoso mancino di Castellammare di Stabia, uno che da giovane batteva Andy Roddick sui campi del Tc Milano. È un match di Serie A1, che si disputa sotto il sole di una classica e calda “ottobrata” romana.
“Vivi ogni giorno come se fosse ogni giorno. Né il primo né l’ultimo. L’unico” (Pablo Neruda)
Federico Luzzi non poteva sapere che quella con Accardo sarebbe stata la sua ultima partita. Ma l’ha giocata, come sempre, come se fosse l’unica. Il toscano era rientrato pochi giorni prima, nel challenger di Todi, dopo una lunga e assurda squalifica per un caso di scommesse. “Rientro in campo e vinco con uno che sembra essersi venduto la partita, è il colmo”, aveva detto scherzando Federico ai suoi amici presenti in Umbria. Quel torneo lo giocò anche bene, perdendo nei quarti di finale contro l’amico Marco Crugnola. Ma la classifica, ovviamente deficitaria, lo aveva visto precipitare oltre il numero 400 Atp. E pensare che esattamente dodici mesi prima era tornato a ridosso dei Top-100.
Le gare a squadre hanno sempre appassionato Federico, quello che oggi, abusando di termini anglofoni, definiremmo un ‘fighter’. Un vero agonista, dentro e fuori dal campo. In ogni aspetto della vita. Una vita fatta di continue sfide.
Anche quel giorno di ottobre gli acciacchi si fanno sentire, come in tutta la sua carriera. ‘Fede’ è lì che lotta come un forsennato sulla terra battuta del Parioli. Prova i suoi ‘numeri’, le cosiddette ‘luzzate’, ma Accardo è in giornata di grazia e trova vincenti da ogni dove e in qualsiasi maniera. Arriva anche un passante di rovescio (a una mano, Accardo è bimane) ai limiti dell’impossibile. Luzzi ‘rosica’ visibilmente, ma il colpo è troppo bello e le uniche parole che escono dalla sua bocca sono “no vabbè non ci credo, bravissimo!” Luzzi gioca male, anche se alterna qualche bel numero a errori gratuiti, ma lotta, lotta sempre, su ogni punto. Il pubblico? Una decina di appassionati si alterna tra un campo e l’altro, per seguire i ragazzi del Parioli. E Federico gioca per loro e per la squadra e non molla di un centimetro. Le smorfie di dolore si sprecano ma i punti in suo favore aumentano e, alla fine, giunge la vittoria. La sua ultima vittoria. Federico esce dal campo esclamando “che vita da mediano…” ma il sorriso è sempre lo stesso. Quello che conquistava tutti. Quello stesso sorriso apparso sul suo volto dopo le vittorie su Clement e Arazi al Foro Italico, ma anche con Vliegen nelle qualificazioni. Lo stesso sorriso dopo i tweener vincenti contro Coria e Gaudio.
Era giunta un’altra vittoria, un’altra lotta portata a casa. L’ultima.
Essere stato un uomo significa aver dovuto combattere.
(Goethe)