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Testa e cuore. Ma non solo. Non c’era in palio un semplice titolo dello Slam per Novak Djokovic. Lo si è capito dal primo palleggio di riscaldamento sulla Rod Laver Arena. Il successo in tre set (6-3 7-6 7-6) contro il greco Stefanos Tsitsipas, infatti, ha consegnato al campione serbo il decimo Australian Open della carriera, facendogli agganciare il rivale di sempre Rafael Nadal in vetta a quota ventidue Major. Re Nole, inoltre, si è ripreso con gli interessi il trono del ranking, riappropriandosi di quel ruolo di tennista più forte del mondo che tutti, nonostante le brevi parentesi del russo Daniil Medvedev e del giovane spagnolo Carlos Alcaraz, gli hanno sempre riconosciuto. Ce l’ha fatta alla sua maniera, interpretando la trasferta oceanica come una missione, a maggior ragione dopo l’ostracismo di un anno dal suolo australiano per i noti fatti relativi al mancato vaccino contro il Covid-19.
Un set perso in tutto il torneo, solamente sei servizi ceduti, questi gli spaventosi numeri di Djokovic nelle ultime due settimane. Dopo il primo game del terzo parziale contro Tsitsipas, per la prima volta si è trovato indietro di un break. La reazione, neanche a dirlo, è stata da superbo campione. E attenzione: non era semplice il compito odierno di Nole. Il greco stava giocando il miglior tennis della carriera, mostrando una consapevolezza tecnica e fisica palesata non tante volte in questa maniera, soprattutto a livello Slam. Contro Djokovic, però, non ti puoi permettere il minimo calo. Il riferimento è chiaramente al tie-break del secondo parziale, in cui l’ateniese ha completamente perso il dritto spostando l’inerzia del match ancora di più dalla parte dell’avversario.
Per Tsitsipas, forse, sarebbe stata necessaria un pizzico d’inventiva in più, qualche variazione ulteriore per provare ad uscire vincitore da un campo che sembra studiato a tavolino per esaltare le caratteristiche di Djokovic. Quest’ultimo non è stato del tutto impeccabile. Soprattutto nel secondo set ha giocato in maniera passiva, a tratti quasi irriconoscibile. Sotto 5-4, ha dovuto difendere una palla set ma in quel frangente l’ellenico è mancato, così come nelle prime battute del terzo set, facendo intuire che ci sono ancora parecchi tasselli mancanti al proprio mosaico per poter dettare legge in palcoscenici di questo tipo. Il bilancio dei precedenti sicuramente non aiutava il greco, specialmente nella testa. I due confronti diretti a livello Slam, quelli al Roland Garros vinti da Nole solamente al quinto set, potevano far ben sperare ma il parziale di 10-2 in favore del serbo si prestava a pochissime interpretazioni.
Tsitsipas doveva superarsi per uscire vincitore. Probabilmente non sarebbe bastato ma la sensazione è che non ci sia andato neppure vicino ai suoi picchi massimi di gioco. Meriti di Djokovic, giocatore onnipresente, onnipotente, un esempio vivente di brillantezza tecnica e fisica a trentacinque anni d’età. Sulla Rod Laver Arena non perde un incontro dal gennaio del 2018, quello in tre set contro il sudcoreano Hyeon Chung. Da allora ventotto successi consecutivi su un campo dove è uscito sconfitto solamente in una manciata di occasioni. Più dei record e della prestazione da extraterrestre di Djokovic, però, è opportuno esaltare l’abbraccio finale con il proprio angolo al termine del match. In quel momento sono arrivate le lacrime, evidente segno della tensione accumulata nel corso del torneo.
La commozione finale ha messo in luce che, prima di una leggenda dotata di un tennis alieno c’è sempre un uomo, con i suoi sentimenti e le sue debolezze. A tanti, infatti, non è simpatico. Nell’ultimo anno non ha dovuto tenere a bada solamente gli avversari. Ha combattuto giornalmente contro l’opinione pubblica e la penna dei giornalisti, pronti a vivisezionare ogni sua mossa dopo gli avvenimenti australiani dello scorso gennaio. L’ultima stagione l’ha vissuta da sorvegliato speciale. È stato messo all’indice, subendo un danno d’immagine devastante. Ancora una volta, però, Djokovic ha ribadito un concetto e lo ha fatto in maniera forte e chiara: il più forte è sempre lui.
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