Se potessimo per assurdo vivere nei sogni di Roger Federer, o meglio nei suoi incubi, scopriremmo probabilmente che il principale protagonista di questi è Novak Djokovic, specialmente dal 14 Luglio scorso. Il serbo ha provocato la più grande delusione della carriera di Roger e lo ha fatto nella sua maniera unica ed inimitabile. Cinque ore di partita, cinque sets, tre tiebreaks, due match-points annullati in risposta, di cui uno con un chirurgico passante incrociato, ed una capacità sovrumana di giocare sempre meglio dell’avversario nei momenti clou degli incontri. È vero, lo svizzero soffre Nole, non poco, ma è mai possibile che il numero 2 del Mondo trovi sempre il modo di portare a casa maratone del genere, per giunta con il 90% del pubblico che parteggia per il suo rivale? Ebbene sì. Per ‘roboNole’ questa è la normalità. Dopo un paio di anni sabbatici, il 32enne di Belgrado è tornato a macinare gioco e vittorie. Sembrava in effetti impossibile che si fosse dimenticato di come si gioca a tennis ed infatti sono state le nuove motivazioni, dettate anche dal ritorno di Vajda in panchina, ad aver riportato Djokovic ai vertici del tennis mondiale. Sono 2 i Major conquistati nel 2019: Wimbledon ed il ‘solito’ Australian Open. Imbarazzante, per gli avversari si intende, il livello espresso dal serbo in terra australiana: la finale contro Nadal è una lezione di tennis sotto tutti i punti di vista. D’altronde, che Novak si trovi a suo agio sul cemento oceanico non è certo una novità, come non è una novità che se c’è uno Slam dove il serbo spesso non rende come potrebbe è lo Us Open. La sconfitta con Stan a Flushing Meadows, al netto dei problemi fisici, è molto più importante di quella con Thiem al Roland Garros, considerato che l’austraico su terra non ha rivali, apparte l’extraterrestre di Manacor. Tutto sommato però conquistare la metà degli Slams a disposizione non si può dire che sia poco, per utilizzare un eufemismo: Djokovic resta sempre l’uomo da battere.