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New York, Melbourne e un filo conduttore che risponde al nome di Naomi Osaka. Non capitava da nove Slam di vedere lo stesso epilogo per due volte consecutivamente e l’ultima a riuscirci, nemmeno a dirlo, era stata Serena Williams prima della gravidanza. In un periodo storico del tennis femminile in cui regna la più totale anarchia con il livello medio delle interpreti così vicino da poter produrre una grossa sorpresa in qualsiasi giornata, il Tour pare aver finalmente trovato una nuova protagonista capace di dettare la propria legge nei grandi appuntamenti. Se agli Us Open la Osaka aveva stupito tutti per la freddezza con cui aveva assorbito le bizze di una imbestialita Serena Williams per conquistare il suo primo Major, agli Australian Open la nipponica ha mostrato il lato più umano di una ragazza di 21 anni.
Naomi l’ha vinta due volte, dimostrando a se stessa e a tutte le altre di essere più forte dei momenti di appannamento psicologico, una costante nel tennis femminile. Avrebbe potuto schiacciare chiunque il triplice match point cancellato dalla Kvitova (un’altra favola che meriterebbe un lieto fine, magari sull’amata erba di Wimbledon) e una serie di quattro giochi consecutivi che ha consentito a Petra non solo di risalire il cornicione, ma addirittura di aprire scenari inaspettati in una finale che sembrava indirizzata.
Come se (quasi) niente fosse, invece, Osaka si è lasciata tutto alle spalle e ha ripreso a martellare come un fabbro. Sempre di più, sempre più forte di un’avversaria che ha nella pesantezza di palla la sua arma migliore e ha aperto il 2019 con una forma strepitosa e un’inattesa continuità. Naomi impara in fretta – non è un caso sia solamente la quinta giocatrice a vincere i primi due Slam della carriera consecutivamente – e addirittura nella stessa partita. Sul 4-3, in una sorta di deja-vu, lo 0-40 in risposta è tornato a far capolino ma questa volta, passato il treno, non ha tremato suggellando il trionfo con due autoritari turni di servizio.
“Uff, mi ero preparata un discorso ma adesso non so che dire”, le parole della nipponica mentre la Rod Laver Arena è ai suoi piedi. Non avrà la parlantina di una Wozniacki (che l’anno scorso, dopo l’agognato primo Slam, invocò la copertina di Elle) ma su questo ci si potrà lavorare considerando il roseo futuro che attende la samurai d’America. Da lunedì 28 gennaio guarderà infatti tutte le altre dall’alto del suo numero 1 nel ranking, diventando la prima tennista asiatica a salire sul gradino più alto delle classifiche mondiali. Uno in più della indimenticata Li Na, che oggi ha presentato il trofeo della finale femminile. Tre in più di Date Krumm, miglior tennista nipponica della storia capace di raggiungere il numero 4 con uno stile di gioco completamente agli antipodi rispetto a quello della Osaka. La regina del futuro e la nuova donna da battere.