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Stefanos Tsitsipas domenica, ha firmato la più grande sorpresa del torneo finora. Un classe 1998 venuto dalla Grecia che elimina Roger Federer, dominante, insieme agli altri due fenomeni, per tre lustri sui campi di tutto il mondo. Ma pur con la caduta del classe ’81 di Basilea e i ragazzini del ’98, Tiafoe e Tsitsipas, che provano ad imporsi, la generazione dei ragazzi nati dopo il 1985, è ancora la più rappresentata ai quarti dell’Australian Open 2019, con Novak Djokovic e Rafael Nadal, classe ’87 e ’86, a comandare il tabellone ai due estremi, e con Kei Nishikori e Roberto Bautista Agut, rispettivamente nati nel 1989 e nel 1988, a supportarli.
Tra i giovani e i veterani dunque, c’è un vuoto di circa 10 anni. Si tratta di quel vuoto che è stato ribattezzato “Mid-Gen”, generazione di mezzo, ma che col tempo si è addirittura trasformata “Lost-Gen”, quella perduta, schiacciata dai Fab-4 ancora troppo giovani per dare loro il cambio. Quella che, prima mediaticamente e poi tennisticamente, rischia di essere oscurata dalla famosissima “Next-Gen”, anche nella corsa ai titoli più importanti.
Il soggetto del nostro focus però appartiene proprio alla generazione della prima metà degli anni Novanta. Si tratta infatti del canadese Milos Raonic, che dopo mesi e mesi di difficoltà fisiche non è mai più tornato ad essere quel giocatore estremamente pericoloso e capace di spingersi, nel 2016, fino all’ultimo atto dei Championship.
Eppure, il canadese all’Australian Open ha dato prova, comunque vada a finire il suo torneo, di aver ritrovato la strada per competere in maniera prepotente per i titoli più importanti. La differenza tra questo Raonic e quello del 2018, che pure arrivava ai quarti a Wimbledon, sembra abissale, dal punto di vista fisico e mentale, prima ancora che tecnico. E’ un Raonic che non si pietrifica più quando deve giocare la seconda, rischiando di dover entrare negli scambi. Ed è proprio quando non si ha paura di perdere qualcosa di fondamentale importanza, per Raonic la prima di servizio, che quel qualcosa rimane con noi: la prima, infatti, non ha mai abbandonato l’ex allievo di Riccardo Piatti nei primi quattro turni al Melbourne Park. In media, Raonic viaggia con 22 ace (107 totali) il 69% di prime in campo e una resa dell’85%. Se poi, come detto, la testa è del tutto libera da pressioni e dall’ansia di doversi affidare obbligatoriamente al proprio miglior colpo, anche con la seconda Raonic realizza eccome, e nel torneo infatti tocca il 62%. Lo tocca grazie al dritto e al rovescio, che incidono alla grandissima e a nuove armi affinate evidentemente nella off-season, come lo slice di rovescio, che toglie peso alla palla, fa impazzire uno come Zverev e lo aiuta ad annichilirlo, almeno per i primi due set, chiusi con un doppio 6-1.
Solamente un solido Stan Wawrinka è riuscito a soffiare a Raonic un set al tie-break, nel match di secondo turno. Ma anche lì, il 28enne non ha perduto la calma quando sotto punteggio, vincendo i tre set successivi, ancora al tie-break. E’ lì che l’Australian Open di Milos Raonic ha avuto una svolta, forse dalla presa di consapevolezza di Raonic di poter reggere anche a scambi di una certa intensità. Perché il gigante di Podgorica, tira forte appena può, prende il controllo del campo, non ha paura di scendere a rete, caratteristica ripresa proprio degli anni con Piatti, e, cosa ancora più importante, chiude sempre con un saldo vincenti/gratuiti estremamente positivo (53/8 contro Kyrgios, 84/44 contro Wawrinka, 51/12 contro Herbert e 45/24 contro Zverev).
Tutti questi numeri bastano a rendere Raonic, prima ancora che per ragioni tecniche o di esperienza ad alti livelli, la vera alternativa ai due favoritissimi per la finale, Djokovic e Nadal. L’ex finalista di Wimbledon è dalla parte di tabellone del serbo, ma prima di una eventuale semifinale proprio contro il numero 1 del mondo, il destino gli pone una sfida davvero interessante, contro l’unico altro rappresentante della sua stessa generazione, un redivivo Lucas Pouille. La risposta di rovescio è uno di quei colpi che più sta funzionando nel tennis del transalpino e per Raonic potrebbe essere un ulteriore test, più probante di un Kyrgios in discesa, di un Wawrinka in lenta risalita, di un Herbert troppo incentrato sul proprio servizio e di uno Zverev che fatica a sbocciare anche negli Slam. Intanto però, il fiore di Milos Raonic sta provando e riuscendo a rifiorire. La prima parte di carriera di Raonic lo ha portato in finale in quello che Gianni Clerici chiamava il Campionato del Mondo di tennis, chissà che questa seconda parte, che sembra iniziare per davvero solo con questo Australian Open, non possa portarlo ancora più in alto.