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Dodici mesi dopo, è ancora Aryna Sabalenka a trionfare in quel di Melbourne, riuscendo in un bis che mancava da oltre un decennio. L’ultima a riuscirci? La connazionale Vika Azarenka. Se per quest’ultima furono però gli unici titoli Slam della carriera, l’impressione è che Sabalenka abbia soltanto iniziato a contare: per lei non si trattava infatti soltanto della seconda finale consecutiva ma del sesto Major di fila in cui raggiunge almeno le semifinali. Competitiva su tutte le superfici, il cemento è sicuramente la sua migliore e l’ha ribadito agli Australian Open, non solo difendendo il titolo ma dominando il torneo, senza perdere neanche un set (e perdendo soltanto nel primo set in semifinale contro Gauff più di 4 giochi).
A senso unico la finale, in cui Qinwen Zheng ha commesso troppi errori anche solo per sperare di avere qualche opportunità. Sabalenka invece è stata perfetta praticamente dall’inizio alla fine ed ha meritato la vittoria. Un successo importante perché la sonora sconfitta contro Rybakina in finale a Brisbane (per 6-0 6-3) poteva minare le sue certezze, e che le dà un vantaggio significativo in ottica numero uno del mondo in vista del prosieguo della stagione. La pressione, come accaduto lo scorso anno, è tutta su Iga Swiatek, attualmente ancora davanti ma chiamati a difendersi dagli attacchi di Sabalenka. Anzi, di questa Sabalenka, che ha vinto uno Slam con una facilità disarmante e che può puntare davvero in alto.
Infine, si tratta di un risultato particolarmente significativo per la bielorussa perché era il desiderio di suo papà, scomparso prematuramente a 43 anni alcuni anni fa. “Il suo sogno era che prima dei 25 anni vincessi un paio di Slam – ha raccontato la bielorussa, che a tal proposito ha aggiunto – Non volevo vincere un solo Major e poi sparire“. Sicuramente la continuità non è la qualità migliore della giocatrice di Minsk, che in effetti lo scorso anno ha pagato questa mancanza con il numero uno al mondo, finito nelle mani di Iga Swiatek con una rimonta pazzesca a fine anno. Se però dovesse migliorare anche su quest’aspetto, allora sì che le cose si metterebbero male per tutte le sue avversarie.
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L’altra finale di giornata andata in scena a Melbourne è stata quella di doppio maschile, dove Simone Bolelli e Andrea Vavassori non sono riusciti a sollevare il trofeo. La coppia azzurra ha fatto il possibile, ma si è arresa ai futuri numeri uno al mondo Rohan Bopanna e Matthew Ebden con il punteggio di 7-6 7-5. Sicuramente la sconfitta brucia – e non potrebbe essere altrimenti dato che perdere non è mai piacevole – ma il percorso australiano di Simone e “Wave” rimane comunque fantastico. Vittorie contro coppie di spessore come Mahut/Roger-Vasselin e Krawietz/Puetz, prima finale Slam raggiunta insieme e un livello di tennis che può davvero permettere loro di qualificarsi al Master di fine anno. La stagione è ancora lunga, ma iniziarla così è sicuramente d’aiuto: e occhio alle Olimpiadi di Parigi 2024…
Sulla finale odierna purtroppo non c’è molto da dire. L’equilibrio ha regnato sovrano per quasi tutto l’incontro, ma Bolelli e Vavassori si sono disuniti nel tie-break del primo set (perso 7-0) e nel finale del secondo (tre giochi di fila persi dal 5-4 al 5-7). Ci sta però perdere contro una coppia più esperta e più abituata a giocare insieme, peraltro in una settimana speciale per entrambi: Bopanna è diventato numero uno al mondo per la prima volta a 43 anni (oltre a vincere poi il suo primo Slam), mentre Ebden ha bissato il titolo ottenuto qualche anno fa a Wimbledon, trionfando davanti alla propria gente. Non riesce purtroppo il bis a Bolelli, che aveva trionfato nel 2015 a Melbourne ma si può comunque consolare con un balzo in avanti nel ranking, né il primo acuto a Vavassori, il quale può però festeggiare il best ranking e il debutto in top 30. Insomma, malgrado la sconfitta finale, la trasferta australiana è stata più che positiva.
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