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di Alessandro Nizegorodcew e Matteo Mosciatti
Una storia da film. Il tennis, la Juventus, le grandi gioie e il drammatico infortunio. Una scelta “sofferta ma logica”, una carriera calcistica in rampa di lancio senza aver mai dimenticato le emozioni del primo amore sportivo. La vita da romanzo di Federico Mattiello inizia nel piccolo comune di Borgo a Mozzano, un paesino di settemila anime in provincia di Lucca, il 14 luglio 1995.
A 6 anni comincia a giocare sia a calcio che a tennis. Il suo maestro è Ivano Pieri, padre e allenatore di Jessica e Tatiana Pieri, giovani e promettenti giocatrici. “Ho ancora oggi un grande rapporto con Ivano – racconta Mattiello – e appena torno a casa lo chiamo. A volte ci facciamo anche un’oretta di tennis, perché la mia passione per questo sport è sempre viva. Il maestro Pieri è stato un allenatore straordinario, mi ha insegnato tutto ciò che, negli anni, mi ha portato a raggiungere la nazionale e il successo al Lemon Bowl”. Federico diviene campione regionale toscano, viene convocato in azzurro e gioca tornei in Italia e in Europa conquistando risultati di rilievo. “La prima convocazione fu una grande emozione – continua Mattiello – così come lo è stato nelle nazionali under di calcio. Ricordo una sfida con la Croazia per la quale fui selezionato insieme a Matteo Donati e Stefano Napolitano, oggi affermati professionisti. Donati giocò con Borna Coric, che mi impressionò molto per tenacia e capacità tecniche, anche se all’epoca il suo atteggiamento in campo non era dei migliori. Che sia calcio o tennis, comunque, la nazionale è qualcosa di unico: ti spinge a dare tutto te stesso, a trovare energie che non sapevi nemmeno di avere. È un’emozione stupenda”.
La vita di Mattiello cambia radicalmente all’età di 13, quando è ormai tempo di prendere una decisione non semplice. “Chiamò la Juventus – spiega il talento toscano, oggi grande protagonista del Bologna di Filippo Inzaghi – e il sogno di andare a Torino, improvvisamente, stava diventando realtà. Finché giocavo a calcio vicino a casa potevo permettermi di proseguire anche con il tennis, magari allenandomi 2-3 volte a settimane, ma il trasferimento alla Juve, ovviamente, non mi avrebbe permesso di continuare. Amavo entrambi gli sport, ma il tennis è molto più impegnativo per un ragazzino di 13 anni: dovevo viaggiare in Italia e in Europa quasi tutte le settimane, le spese a carico della mia famiglia erano elevate. La scelta fu logica anche se sofferta. La Juventus era un’esperienza a cui non avrei mai potuto rinunciare”.
Federico (nella foto qui sopra ai tempi della convocazione in nazionale di tennis) parla, racconta e i ricordi vengono fuori uno dopo l’altro. “Mi è dispiaciuto tanto lasciare il tennis. Mi sarebbe piaciuto proseguire anche soltanto per capire dove sarei potuto arrivare nel ranking Atp, visto che non me la cavavo male. I ricordi di quegli anni sono tutti bellissimi e devo dire anche istruttivi. Il tennis è uno sport che mette a dura prova chiunque dal punto di vista mentale e tutto ciò mi ha aiutato molto nella mia crescita calcistica e umana. Se dovessi utilizzare due parole per descrivere ciò che il tennis è stato direi utile e bellissimo. Il mio idolo? È sempre stato Roger Federer. Una volta sono anche riuscito a vederlo dal vivo, al Foro Italico, però… ha perso. Quando riesco seguo i tornei in tv, la passione non è tramontata affatto. Devo dire che tra i calciatori di tutte le squadre in cui sono stato, dal Chievo alla Juventus passando per Bologna e Spal, ho trovato tantissimi appassionati”.
Al Lemon Bowl, torneo giovanile internazionale che si disputa oggi sui campi del New Penta 2000 a Roma, Mattiello è sempre stato grande protagonista: vincitore nell’under 10 nel 2005, semifinalista l’anno successivo. “Non so perché ma ho sempre giocato benissimo al Lemon Bowl. Mi piaceva il circolo, mi trovavo bene con le persone e soprattutto vincevo. E quando si conquista un titolo i ricordi sono belli, sempre. Sono passati tanti anni ma le sensazioni del Lemon Bowl sono ancora vive e molto piacevoli”.
Il talento di Mattiello è indiscutibile, nel calcio come nel tennis, e probabilmente grazie al suo fisico e a una straordinaria coordinazione ed esplosività, avrebbe potuto raggiungere grandi risultati in qualsiasi disciplina. Il calcio oggi è un desiderio realizzatosi, è la vita di Federico ma anche, ormai, una professione. Il tennis è un ricordo bellissimo, è il sogno di un bambino, che appena capita l’occasione, torna ad accendersi, “perché appena posso, quando torno a casa, prendo le scarpe e la racchetta e scendo in campo. I colpi e il tempo sulla palla forse li ho un po’ persi, ma quanto è bello giocare a tennis”.