Nel tennis, raramente capita che la partita si decida su un punto in particolare oppure che sia un solo episodio a determinare il vincitore di un match. Solitamente vince chi è più solido dall’inizio alla fine e riesce ad imporre la sua superiorità ai danni dell’avversario. Quando ciò accade però, specialmente nei match in bilico fino alla fine, non si resta mai indifferenti. D’altronde, in questo sport, un singolo centimetro può fare la differenza e probabilmente David Ferrer se lo ricorderà a lungo.
Siamo nel 2013 e David Ferrer ed Andy Murray sono pronti a scendere in campo per contendersi il prestigioso Masters 1000 di Miami. Il britannico, insieme a Djokovic, ha appena spodestato dalle prime piazze del ranking Federer e Nadal e vuole restarci. Lo spagnolo di Javea, invece, è a caccia della seconda vittoria a livello Masters 1000 dopo la recente affermazione a Parigi Bercy.
Sin dall’inizio la partita si rivela piuttosto brutta, caratterizzata da un’elevata quantità di errori di gratuiti e priva di soluzioni vincenti. La partenza di Murray è davvero da dimenticare ed il suo avversario ne approfitta immolandosi sul 5-0. Il britannico tenta di rimediare in qualche modo, quantomeno per evitare un umiliante bagel, e conquista una manciata di giochi. I due doppi falli commessi nell’ultimo turno di servizio ceduto a zero, però, sono piuttosto emblematici e rendono l’idea delle difficoltà del nativo di Dumblane.
Dopo il 6-2 in favore dell’iberico, Murray prova a reagire e, seppur con difficoltà, riesce a cavarsela nel secondo set, portandosi persino avanti di un break ed impensierendo il suo avversario. Di contro, Ferrer ribatte colpo su colpo, ricorrendo talvolta anche a scambi superiori ai 30 colpi, ma proprio nel finale si scioglie come neve al sole e cede rapidamente due games. Murray si aggiudica il secondo parziale per 6 giochi a 4. La vera battaglia di nervi però inizia nella terza frazione di gioco.
Sotto il caldo sole della Florida, i due finalisti continuano ad esprimersi ad un livello di tennis che non ci aspetterebbe mai in un palcoscenico del genere e finiscono per dar vita ad un avvio di set davvero inedito. Ben sei i break in altrettanti giochi a testimoniare l’importanza della posta in palio ed un’incertezza che regna più che mai sovrana. Il primo a piazzare l’allungo potenzialmente decisivo è Murray, che si appresta a servire per il match. Ferrer, però, rimedia in tempo e capovolge la situazione in men che non si dica, issandosi sul 6-5 e garantendosi il tie-break.
E’ proprio il dodicesimo gioco a cambiare la storia della finale ed a ricordare a chiunque l’avesse dimenticato che nel tennis tutto può cambiare in pochi secondi. Match point Ferrer, al servizio Murray. I due giocatori scambiano un po’ prima che lo spagnolo si renda protagonista di un gesto che nessuno probabilmente si sarebbe aspettato, ma soprattutto che in pochi avrebbero avuto il coraggio di fare. Su un dritto del suo avversario, David si ferma e chiede il challenge. Una scelta indubbiamente coraggiosa, ma che comporta dei rischi. Vale davvero la pena, in un momento del genere, di affidarsi ad una decisione presa in pochi centesimi di secondo? Da un lato probabilmente la soddisfazione più grande di una carriera, dall’altro un clamoroso rimorso. Tutto dipende da un centimetro. Ecco a cosa è appeso il futuro di Ferrer. Ecco cosa separa la vittoria in un Masters 1000, la rivincita su Murray dopo la sconfitta in finale nel Masters 1000 di Shanghai nel 2011, dal dover tornare in campo a battagliare, con 30 gradi e un’umidità alle stelle, e con quasi tre ore di gioco alle spalle.
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Il challenge afferra per i capelli Murray e lo salva dal baratro della sconfitta. Al contempo, sempre l’occhio di falco nega a Ferrer una vittoria sofferta ma, nel complesso, meritata. Da qui, l’epilogo è a senso unico. Andy conquista 10 punti. Lo sconsolato David appena uno. La sua partita è finita lì, su quella maledetta riga. Ad un centimetro dalla vittoria.