Di meteore e giocatori capaci di exploit prodigiosi, il tennis ha imparato a farci l’abitudine nel corso della propria storia. Quella di Alberto Mancini invece rappresenta qualcosa di speciale rispetto alle altre, forse per la capacità di raggiungere l’Olimpo per poi precipitare come un aereo in picchiata. I motivi possono essere molteplici, da chi lo considerava un amante della bella vita a chi invece testimonia che senza infortuni avrebbe potuto stanziare in piazze ben più prestigiose della numero 8.
La stagione della vita per Mancini è quella del 1989. A Montecarlo è uno dei possibile outsider, ma in pochi credono in lui per una vittoria. Quell’aprile il nativo di Posadas è ingiocabile e centra la finale. Una finale che lo vede opposto ad un certo Boris Becker, non di certo autore della miglior partita in carriera quel giorno. Alberto si impone per 7–5, 2–6, 7–6, 7–5. La meteora si confermerà qualche settimana più tardi agli Internazionali battendo Agassi 6–3, 4–6, 2–6, 7–6, 6–1 e salvando match point nel quarto set. Il miglior risultato Slam Mancini lo otterrà sempre nel 1989, raggiungendo i quarti di finale al Roland Garros.
Sul cemento e a maggior ragione sull’erba (dove non conta nemmeno una presenza a Wimbledon!) non riesce ad esprimersi a dovere a causa del suo gioco prevalentemente terraiolo, dalla grande forza fisica e dalla sorprendente solidità da fondo campo. La stagione 1990 sarà un disastro e per incrociare il nome di Mancini bisognerà andare oltre la top-100. L’argentino ritornerà in finale a Roma nel 1991: un infortunio muscolare lo limiterà costringendolo al ritiro. Il ritiro definitivo dal tennis invece è uno dei più precoci: Alberto lascia nel 1994, a soli venticinque anni. Negli anni a venire svolgerà con discreto successo l’incarico di capitano di Coppa Davis con la sua Argentina. Una carriera mai sbocciata fino in fondo. Ma quelle giornate, a Montecarlo e a Roma, restano indelebili negli annali della racchetta.