È sempre stata una mera questione di tempo. Non ‘se’, ma ‘quando’. Sinner è il nuovo numero 1 del mondo. O meglio, lo sarà ufficialmente dal prossimo lunedì. Il ritiro di Djokovic ufficializza ciò che nel circuito è chiaro a tutti da parecchi mesi: Jannik è il giocatore più forte del mondo, il migliore (nettamente) degli ultimi 12 mesi con 9.525 punti (che possono aumentare in questo torneo), oltre 1.000 più del serbo.
I punti dicono tanto, ma non tutto. Sinner ha dato una dimostrazione di forza e continuità da vero numero 1 del mondo, da campione. C’è voluto tempo per unire tutti i puntini, per mettere insieme tutti i tasselli tecnici, tattici, fisici e mentali. Quello che per chiunque sarebbe il coronamento di un sogno, da festeggiare per settimane, pare essere una semplice (seppur importante) tappa della giovane carriera di un giovane atleta. Un ragazzo che pensa al lavoro giornaliero e poi alle vittorie, che rifiuta le sconfitte ma sa accettarle (imparando le lezioni che possono impartire).
I numeri sono impressionanti. Quest’anno vanta un record di 33 vittorie e 2 sconfitte ma, prendendo in considerazione il momento della svolta (Pechino 2023 e la precedente preparazione atletica. Si, quella per cui saltò la Davis e subì critiche ingenerose e, soprattutto, ignoranti), il dato diviene 53 vittorie e 4 sconfitte. A Umago, nel 2022, aveva conquistato la prima sfida contro un Top 5 (finale contro Alcaraz, all’epoca n.5 ATP), mentre veniva accusato di non ottenere quel salto di qualità tanto atteso. Atteso da chi, però? Da chi osservava, da chi smaniava di avere un italiano a dominare il circuito. Non certamente da chi era intorno a Jannik (Vagnozzi, Cahill, il team, la famiglia, gli amici), che predicava sempre pazienza. “Calma, è un giocatore in costruzione. Serve tempo”. E quel tempo ce lo prendiamo, sembrava urlare come sottinteso il buon ‘Vagno’, artefice di migliorie tecniche e tattiche su Sinner eccezionali. Da febbraio 2023 le vittorie sui Top 5 sono divenute 14 (su 19).
Jannik è il migliore perché è una spugna. Acquisisce, non serve ripetere un nuovo dettame. Va ed esegue. Nuovo servizio? Che problema c’è. Lui va ed esegue. 10, 100, 1000, 10000 volte. Finché non rasenta la perfezione. Sino a che il miglioramento non diventa automatismo. Finché non c’è più bisogno di pensare per eseguire un colpo. Un colpo, come uno slice di rovescio o una volée in controtempo, che sino a qualche mese fa parevano impensabili o quasi. Impensabile per chi osservava dall’esterno, con quella fretta che è la più grande nemica del giudizio tennistico.
Il tennis è una maratona, non una corsa di 100 metri. E come tale va analizzata, ma non giudicata ogni 10 passi (o tornei). Ma Jannik questo l’ha sempre saputo. Glielo spiegava ‘Hebi’ Mayr, il suo primo maestro, glielo ha saldato nella mente Riccardo Piatti; lo hanno cementato Vagnozzi e Cahill. Jannik è il nuovo numero 1 del mondo e, da adesso, ci si divertirà ancora di più. Perché Sinner e il termine ‘accontentarsi’ rappresentano, oggi, il più grande ossimoro dello sport