Editoriali

Jannik Sinner: il qualunquismo e il disperato tiro a bersaglio

Jannik Sinner
Jannik Sinner - Foto Pa Wire/Pa Images/IPA

Jannik Sinner ha perso la quarta partita in sette mesi di stagione. Una sconfitta dolorosa, nessuno lo mette in dubbio, ma rimane pur sempre una sconfitta ai quarti di finale di Wimbledon contro il numero cinque del mondo, non di certo l’ultimo arrivato. Ma in Italia è così: processi, colpe, bersagli. Analisi lucide poche, qualunquismo tanto. A tutti i livelli.

Il numero uno del mondo, sì è numero uno del mondo, è sceso in campo debilitato per un virus. E nonostante ciò ha provato in tutti i modi a portare a casa la partita. Non ci è riuscito perché gli è mancata la lucidità dei giorni migliori e perché, dall’altra parte della rete, ha trovato un muro umano capace di respingere ogni tentativo di Sinner di manovrare e dominare il gioco. Agli Australian Open Sinner era stato capace di rimontare due set di svantaggio, proprio a Medvedev, nella sua prima finale slam e di spuntarla al quinto. Contro questi grandi giocatori se non sei al top della forma è difficile venirne a capo. E questa volta non ce l’ha fatta.

E di certo Jannik Sinner non è Dio sceso in terra: a 22 anni sta disputando un 2024 sensazionale con 42 partite vinte e sole 4 sconfitte. Qualcosa di straordinario. Solo i grandissimi di questo sport ci erano riusciti. Ma fare i paragoni, in questa epoca, ha poco senso. C’è una sola certezza: il tennista altoatesino sta studiando per diventare uno dei più grandi di sempre. Ma, come è ovvio che sia, deve ancora superare degli step. Fisici, mentali e di esperienza. Non è un caso che ha perso diverse partite al quinto set negli ultimi slam, ma è uno spunto che già a caldo – nella conferenza stampa – ha già memorizzato. 

L’azzurro di partite ne perderà ancora tante. Vincere è sempre una cosa eccezionale, figurarsi in uno sport individuale. Un anno fa di questi tempi Sinner perdeva al secondo turno del Roland Garros contro Daniel Altmaier. E sembrava la fine del mondo. No, era solamente l’inizio di 365 giorni straordinari: titoli su titoli, la Coppa Davis, il primo slam, i Masters 1000, la finale alle Atp Finals di Torino. E con essi anche tutti i riflettori puntati. E tanto qualunquismo gratuito. Ma il tennis ha delle logiche diverse rispetto a quelle nostrane del calcio. I campioni, in Italia, bisogna anche meritarseli. Non sprechiamo questa occasione.

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