Il sorriso di John Isner e di Sloane Stephens sono le ultime cartoline da Crandon Park, sede storica del Miami Open, prima del trasloco all’Hard Rock Stadium nel 2019. Due exploit inattesi, punto di svolta della stagione per entrambi i campioni che prima di questo torneo avevano vinto rispettivamente una e tre partite sul circuito maggiore, ritrovandosi a braccetto in top-10 di ritorno, come nel caso di Isner, o per la prima volta, come per la Stephens.
BUM BUM JOHN – Ingiocabile a partire dal terzo turno, momento in cui per tutti è diventato impossibile conquistare un break. Dopo essere stato costretto al terzo da Vesely all’esordio, Isner ha messo in riga tra gli altri il numero 2 del tabellone Cilic, regolato un Chung in crescita, fermato la striscia di vittorie di Del Potro, e battuto in rimonta Zverev in finale. Si tratta del titolo più importante della sua carriera, il primo 1000 alla quarta finale raggiunta, togliendo al giovane tedesco la possibilità di diventare il più titolato in questa categoria degli ultimi 12 mesi. Sasha va in tilt chiudendo tra i fischi dopo aver disintegrato l’attrezzo nel nono gioco del secondo set prima di alzare bandiera bianca sul 6-4 con tre ace consecutivi: il bicchiere mezzo pieno, però, ci restituisce uno Zverev nuovamente pronto per questi palcoscenici dopo un avvio di 2018 non all’altezza e con qualche polemica dopo la separazione da Ferrero. Il grande ‘assente’ di Miami è Roger Federer: dopo la delusione di Indian Wells, lo svizzero esce clamorosamente all’esordio contro un redivivo Kokkinakis e perde il numero 1 al mondo così faticosamente conquistato aggiungendo Rotterdam alla striminzita programmazione: adesso niente terra e tanti saluti sino all’amata erba, perché se è vero che ci piace ripetere che nel suo caso l’età è solo numero, è altrettanto vero che ogni tanto anche Roger assume sembianze umane.
RIECCO SLOANE – Sono serviti sei mesi a Sloane Stephens per ritrovarsi dopo la vittoria agli Us Open. Un successo inaspettato, soprattutto perché arrivato dopo un lungo stop per infortunio, che ha portato con sé l’inevitabile e non richiesto ‘extra’ di quesiti. Perché passare dal primo Slam visto come trampolino di lancio e definitiva esplosione a meteora del tennis è un attimo. Lo sa benissimo anche la sua avversaria in finale, la regina del Roland Garros Jelena Ostapenko che, al contrario, dovrà ancora aspettare per togliersi qualche sassolino dalla scarpa come se ad una ragazza classe ’97 sia lecito aspettarsi tutto e subito. Nell’atto conclusivo ha trovato dall’altro lato della rete una Stephens che ha giocato la partita ‘giusta’, alzando il muro da fondo e mandando il tilt la tennista lettone, che questa volta non ha potuto non pagare i quasi cinquanta gratuiti. Perché contro Sloane in finale la storia dice che non puoi permetterti nessun passaggio a vuoto: sei su sei in carriera per lei, nel caso ci fosse bisogno di sottolineare le stimmate da campionessa e quanto sia difficile batterla nelle settimane giuste. Il prossimo step dovrà quindi essere quello della continuità: facile a dirsi, meno a farsi essendo una caratteristica poco diffusa nel circuito Wta. Halep e Wozniacki, prime due del ranking, vengono fermate rispettivamente al terzo turno da Radwanska (bentornata, forse) e al secondo da Puig dopo un 6-0 rifilato nel primo set, Serena Williams si arrende all’esordio a Naomi Osaka nel più classico degli incroci tra leggenda e giocatrice cresciuta col suo poster in camera, Venus invece sopravvive a tre match point con la Bertens ed elimina la detentrice del titolo prima di capitolare di fronte alla novità del torneo in Florida. Senza nulla togliere al trionfo della Stephens, la maggior parte delle copertine della settimana sono andate a Danielle Rose Collins: non era affatto facile riconfermarsi dopo l’ottavo raggiunto ad Indian Wells, a Key Biscayne è invece arrivata sino in semifinale. Dall’impossibilità di permettersi una scuola tennis da bambina per i problemi finanziari della sua famiglia alla scalata nella NCAA, culminata con il titolo di campionessa che le regalò la wild card per gli Us Open 2014 e un primo assaggio delle sue qualità: chiedere a Simona Halep, già numero 2 al mondo, costretta al terzo set.