“All’inizio ero spaesata, solo ora che sono al terzo anno posso dire di essere più sicura perché ho i miei solidi punti di riferimento, non sono più una ragazza sperduta in questo grande continente anzi, sento di essere diventata grande come l’America!”. Sono passati tre anni da quando Cecilia Castelli ha scelto di non essere più solo “Cecilia la tennista”, quella che da piccola era arrivata fino alla finale della Coppa Lambertenghi e al titolo di vicecampionessa italiana under 14; quella che nonostante i risultati incoraggianti non riusciva proprio a sentirsi a suo agio nel solitario mondo del tennis. Poi il dolore per la prematura perdita della mamma l’ha convinta che era arrivato il momento di buttarsi a capofitto in una nuova avventura per scoprire quale fosse davvero la sua strada.
Così Cecilia ha lasciato appena maggiorenne la sua casa di Vercelli e si è trasferita in Pennsylvania per studiare alla Temple University, vicino Philadelphia, complice una borsa di studio per atleti trovata tramite l’agenzia StAR di Corrado degl’Incerti Tocci che le ha dato l’occasione di cambiare aria e, soprattutto, di ricominciare una nuova vita.
È lei stessa a raccontarci con inesauribile energia la sua esperienza da studentessa-atleta, di come gli amici possano essere una vera famiglia, di come ci si possa sentire a casa anche a migliaia di chilometri di distanza dalla propria e di come impegnarsi nello studio la gratifichi ogni giorno di più. È un fiume in piena di parole cariche di ottimismo e di entusiasmo, di speranze future e di sogni già realizzati: ecco il resoconto in prima persona del suo american dream.
C’è tutto un mondo al di fuori del tennis
“Cominciamo dal tennis: mi sento bene fisicamente e giocare mi diverte sempre molto, però la mia attenzione non è focalizzata solo su questo, in fondo sono venuta qui prima di tutto per studiare. So che non è carino da dire così schiettamente ma il tennis era l’unico modo per pagarmi gli studi, altrimenti tutto questo non sarebbe stato possibile per me. La stagione è finita ed è andata abbastanza bene, mi trovo molto bene con le mie compagne di squadra che vengono tutte da Paesi diversi: ci sono tre cinesi, tre russe e tre europee anche se ho legato ancora meglio con i miei compagni maschi. Obiettivamente è difficile dire che siamo un gruppo unito, sì siamo affiatati quando giochiamo insieme ma fuori dal campo non ci frequentiamo tanto. In compenso io e il mio coach andiamo d’accordissimo, lui viene sempre a cercarmi se c’è bisogno di aiutare gli altri e da parte mia cerco di essere un po’ il leader della squadra. Penso di essere stata molto fortunata perché ho sentito molti ragazzi che invece hanno trovato coach che mettevano troppa pressione, che pretendevano troppo, invece il nostro ci lascia un sacco di spazio, se hai problemi a scuola ti sprona a concentrarti sullo studio e a non preoccuparti per il tennis… alla fine è una figura molto paterna, perché capisce la difficoltà di star lontani da casa e ci tratta tutti un po’ come se fossimo suoi figli“.
La Temple University mi piace un casino!
“Andare all’Università mi piace tantissimo perché io adoro studiare, è una cosa che mi è sempre piaciuta fin da bambina! Qui sono vista un po’ come la pazza del gruppo, un po’ perché da brava italiana gesticolo sempre, un po’ perché dopo tre anni non ho ancora imparato l’inglese perfettamente, cioè mi faccio capire ma non mi sento ancora sicura, non mi butterei mai in una presentazione importante senza preparamela prima. Nonostante ciò sono l’unica qui con due lauree più una minor in sport management, partecipo a qualsiasi tipo di attività extra scolastica tra cui un progetto per atleti da 18 crediti extra chiamato “Leadership program”, inoltre sono Teacher Assistant e parteciperò ad un forum per atleti ad Atlanta come unica rappresentante della Temple. Insomma sono super presa da tutte queste attività perché mi piace intervenire in prima persona: ad esempio la mia scuola organizza dei progetti all’estero per gli atleti, a maggio dello scorso anno la squadra è andata a Roma dove la Temple ha una sede, ma io ero nel pieno della stagione e non potevo andare, così ho rotto talmente tanto le scatole che presto faremo un viaggio in Giappone dove c’è l’altra sede Temple. In più adoro Philadelphia, per me è bellissima, perché è vivibile e mi muovo sempre in bici. È una città che ha un grande futuro davanti a sé, ogni giorno c’è qualcosa di nuovo da fare, è molto movimentata e molto internazionale, anche dal punto di vista culinario. Ci sono tantissimi ristoranti italiani che frequento, principalmente ci lavorano emigrati provenienti dal Sud che sono sempre disposti a interrompere il loro turno di lavoro per chiacchierare davanti a un buon bicchiere di vino quando andiamo a trovarli“.
Siamo una grande squadra che si fa forza a vicenda
“Sono tutti stupiti dal fatto che qui io conosca chiunque: è vero, le mie giornate sono molto impegnate, ma trovo sempre il tempo anche solo per un caffè al volo. Ad esempio uno dei motivi per cui sono famosa alla Temple è che almeno due volte alla settimana vado in bici a Philadelphia a comprare le donuts per tutti, anche se a me non piacciono. Cerco di far sentire tutti importanti e in cambio ricevo tanto affetto, sono piccole cose che mi fanno sentire bene perché vuol dire che lascio qualcosa nelle persone che incontro e in questo momento ho veramente bisogno di persone che mi stiano vicine. A casa non sto mai da sola, le mie compagne di stanza sono fantastiche, fanno parte di una squadra di cross country e mi trovo benissimo con loro ma per scelta ho sempre chiesto di cambiare stanza ogni anno per conoscere persone diverse. Essendo tutte sportive ci sono molte dinamiche che condividiamo, giorni in cui sei giù o in cui vorresti uccidere il coach, etc, è un ottimo modo per vedere come gli altri affrontano le difficoltà. Ho un’altra amica tedesca nella squadra di pallavolo che adesso si laurea ed è in crisi perché non trova lavoro, ha il fidanzato qui e non sa se tornare a casa, alla fine è come se fossimo una grossa squadra che si fa forza a vicenda. È un’emozione che non avevo mai provato prima in Italia, cioè il sentirmi importante per altre persone e non sentire addosso solo la pressione del singolo atleta, ricordandomi che i valori umani vengono prima di tutto, sempre“.
Gli amici possono essere un vera famiglia
“Capitolo amici, in una parola: wow! Semplicemente ho trovato il classico gruppo di persone giuste che diventano a tutti gli effetti la tua famiglia. È una cosa che in Italia mi è sempre mancata; sì, c’erano gli amici tennisti ma era molto difficile vedersi provenendo da città diverse, tipo la Samsonova stava a Bordighera. È vero, abbiamo passato dei momenti bellissimi insieme ma in fondo si trattava sempre di cinque giorni di torneo in cui dovevamo anche giocare contro. Qui per la prima volta nella mia vita ho scoperto cosa significa la frase “Gli amici sono una famiglia”. La mia migliore amica è libanese ed è come se fosse mia sorella, facciamo qualsiasi cosa insieme, mi manca quando non c’è, abbiamo questo legame fortissimo per cui ci intendiamo al volo e se abbiamo problemi è naturale aiutarsi a vicenda. È una cosa che mi riesce complicata spiegare a parole da quanto è straordinaria. Oltre a lei ho altri due amici eccezionali, un colombiano e un bielorusso, che sono anche due miei compagni di squadra: abitiamo tutti e tre vicino ed è straordinario poterci vedere quando vogliamo. Per questo motivo sono molto spaventata all’idea di laurearmi l’anno prossimo perché anche se il nostro legame è fortissimo sono consapevole che tutto cambierà vedendosi di meno“.
Ogni domenica qui è come se fosse Natale
“Altra cosa incredibile che mi è capitata qui è di aver trovato una coppia che mi ha praticamente adottata: avete presente quando si è lontani da casa e la prima cosa che manca è l’affetto della famiglia? Me li ha presentati l’anno scorso la mia amica libanese: lei è siriana-libanese, lui americano, lei è musulmana e lui ebreo, le persone più calde del mondo. Sono proprietari di un cafè a Philadelphia e l’estate scorsa ho passato lì quasi tutti i miei giorni di vacanza, in breve siamo diventati molto uniti e adesso io e la mia amica tutte le domeniche andiamo a cena a casa loro, dove ogni volta troviamo invitati diversi. Sono cene faraoniche che durano 4-5 ore, tipo un pranzo di Natale che cade ogni domenica. Oltre a darmi lo stesso caloroso affetto che potrei avere a casa mi danno anche una mano per qualsiasi problema pratico o personale, che può andare dall’ospedale alle tasse universitarie, oppure tante cose burocratiche per cui senza di loro non avrei saputo come raccapezzarmi. Sono fantastici, è come avere parte della propria famiglia qui“.
Cosa mi riserva il futuro?
“Quali siano i miei pensieri riguardo al futuro… non lo so di preciso. Vedremo cosa succederà il prossimo anno, che per me sarà anche l’ultimo di Università, penso che mi piacerebbe lavorare per una società internazionale, probabilmente un brand sportivo americano, visto che lo scorso anno ho fatto una internship per Under Armour e tra pochi giorni partirò per un altro tirocinio nella loro sede in Giappone: ho l’occasione di lavorare 10 settimane a Tokyo e sinceramente non vedo l’ora, sono eccitatissima! Ho una professoressa giapponese che a giugno mi porterà in giro con lei a fare la turista e mi sembra un’occasione bellissima avere lei come guida. Ecco, una cosa che mi mancherà sicuramente della Temple è la facilità di rapportarsi con i professori: ho promesso anche alla mia professoressa greca di vederci in Grecia quest’estate, perché io ho una casa lì. Fa ridere ma è una cosa che in Italia non accade, qui riesci a costruirti delle relazioni forti con persone molto lontane dalla tua età e anche questo è uno stimolo in più per crescere. Quindi, se qualcuno mi chiedesse se sono soddisfatta della mia esperienza americana gli direi che è assolutamente la migliore scelta della mia vita sotto tutti i punti di vista. È vero, quando sono partita non sapevo bene cosa volevo o cosa potevo aspettarmi, volevo solo cambiare aria in fretta, ma quello che ho trovato qui è decisamente più di quanto potessi desiderare“.