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La premessa è doverosa, forse obbligatoria. Il movimento del tennis italiano maschile sta vivendo un periodo senza precedenti. Non da Roma. Da ormai un paio di stagioni crescono i giovani, migliorano i meno giovani e tutti ne giovano. Sì, perché uno tira l’altro. Che tutto sia partito prima o dopo le imprese di Cecchinato a Parigi ha poca importanza. Abbiamo il movimento più florido d’Europa, tra i migliori al mondo in termini di presenze in top-100. Per non parlare dei vari classe 2001, 2002 e 2003. A prescindere dalla posizione che occuperanno Sinner o Musetti tra 10 anni, l’Italia è in buonissime mani.
Le prove sopra le righe al Foro Italico hanno confermato tutto ciò, mettendo in evidenza il bagaglio a disposizione. Esaltarsi è lecito, a maggior ragione se un diciottenne da Carrara fa girare la testa a un tre volte campione Slam. Stessa cosa vale per Jannik, Travaglia e i match di qualificazione che hanno permesso a Darderi e Cobolli di strappare un set a due top-100.
Con un po’ di onestà intellettuale siamo (o dovremmo) però essere spinti a valutazioni di fondo, pur considerando la nostra premessa. Un momento storico, quello attuale, che non ci può far pensare in modo ordinario. Il repentino cambio di superficie ci ha spedito, da New York a Roma, vari ‘pacchi’ ancora imballati. I protagonisti – non tutti – arrivati alla fine della prima e alla seconda settimana degli Us Open stanno vivendo come mai prima il passaggio dal cemento alla terra. Poco tempo per adattarsi, a maggior ragione dopo uno stop di mesi da competizioni ufficiali. Due fattori che hanno stravolto le carte in tavola al Foro. Vincere, dunque, non è mai scontato, ma le vittorie vanno pesate.
Non si parla solo di italiani ovviamente. Il buon de Minaur per esempio (quarti a New York), che sulla terra spagnola è cresciuto, ha ceduto all’esordio da Dominik Koepfer che sui campi di Roma invece ha cominciato a giocare sabato con il nostro Flavio Cobolli. Risultati strani, inutile citarli tutti, che trovano una banale spiegazione: più si gioca in questo periodo – in determinate condizioni e superfici – meglio è. Ce lo conferma anche il torneo di Kitzbuhel con 5 qualificati arrivati ai quarti di finale (mai successo), 3 in semifinale: adattarsi è diventata la parola d’ordine in questa ripresa.
Gli applausi a scena aperta per i vari Berrettini, Caruso, Musetti, Sinner, Sonego, Travaglia & Co. non sono un optional. Vanno fatti. E come direbbe il buon Julio Velasco, vale sempre la famosa regola non scritta: “Chi vince festeggia, chi perde spiega”.
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