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Sfoglia l’album dei ricordi Iga Swiatek. Nel suo racconto a The Players’ Tribune, la numero 1 al mondo regala un viaggio intimo all’interno del suo rapporto con il successo e il sacrificio. E’ il 2020, la campionessa ha appena vinto il Roland Garros ed è tornata in Polonia. “Ero stata invitata a una cerimonia di premiazione all’interno del palazzo presidenziale dove ho ricevuto una medaglia”, racconta. E in quel momento i paparazzi fanno la loro apparizione nella sua vita. “Vivo fuori Varsavia. Ci aspettavano davanti a casa con le telecamere. Mio padre guidava veloce, svoltava in strade secondarie, controllava lo specchietto”. “Sembra spaventoso ma ci siamo divertiti. Era come stare in un set di un film americano”. Quella scena, tanto periferica nella vita di un atleta, però è la sintesi di un nuovo stato d’animo. L’adrenalina. “Vincere il mio primo Slam ha cambiato tutto. Non c’era nulla che potesse prepararmi. In Polonia non c’è più nessun posto in cui posso essere sicura di andare senza essere riconosciuta”. Il successo le piace, ma la rende “disorientata, stranita”. A tutto questo Swiatek non era preparata: “Si potrebbe pensare che da piccola stessi sveglia tutta la notte a sognare di diventare un grande giocatore di tennis. Ma non era così. Di notte sognavo di riuscire a essere più naturale nei rapporti sociali”.
Anche col tennis il suo sviluppo è cresciuto senza aspettative: “Mi piaceva giocare da bambina ma non sognavo di diventare una professionista. Era il desiderio di mio padre. Voleva che le figlie facessero sport e magari un giorno diventassero atlete”. E spiega: “Mio padre era sempre presente, credeva in me. Mi ha insegnato a essere una professionista, ad avere disciplina e regolarità”. A 15 anni però cambia tutto e il tennis diventa vita. “Era il mio primo Junior Grand Slam, al Roland Garros. La qualità che offrivano agli atleti era qualcosa che non avevo mai sperimentato prima. Dove mi allenavo in Polonia da adolescente, non riscaldavano nemmeno la sede in inverno, prima della scuola. C’erano giorni con solo tre gradi all’interno”. A Parigi, invece, un’altra storia. “Quando ho iniziato a giocare, non so, era come se la palla volasse esattamente dove volevo. Mi ha colpito molto perché non mi capita spesso di vivere momenti del genere. Poi vedere i grandi campioni come Nadal e Serena. Ho lasciato Parigi pensando che volevo solo lavorare di più e migliorare”. Il clic scatta con Tomasz Wiktorowski, il suo allenatore: “Ricordo che mi disse che nel 2021 l’obiettivo era di diventare numero 1 entro un anno. Io risposi: ‘Si’, ok, certo’. Ma pensavo che il suo fosse un discorso da film, alla Ted Lasso”.
Poi il ritiro di Ashleigh Barty, a soli 25 anni. “Ricordo di aver chiamato mio padre quando ho saputo che Ash si sarebbe ritirata. Era marzo. Avevo preso un appartamento a Miami per gli Open quando la mia psicologa, Daria, entrò e disse che Ash aveva annunciato il suo ritiro. All’inizio non capivo. Mi sono chiesta: ‘Cosa? Com’e’ possibile?”. E poi ho iniziato a piangere”. Swiatek in quel momento era numero due delle classifiche. “Ho chiamato mio padre, ed era notte fonda in Polonia. Non lo chiamo mai, ci scriviamo sempre su Messenger o WhatsApp, quindi ha pensato che stesse succedendo qualcosa di brutto. Ma credo che fosse così assonnato da non riuscire a capire bene. Ma io stavo singhiozzando. Non riuscivo a smettere di piangere. Onestamente, non aveva molto a che fare con il potenziale avanzamento in classifica. Può sembrare strano, ma ero confusa e scioccata dal fatto che Ash avesse 25 anni e si stesse ritirando”. E ancora: “Dopo aver vinto di nuovo il Roland Garros l’anno scorso” spiega Swiatek “speravo di poter giocare senza pressione. Ma a Toronto e a Cincinnati ho capito quanto sia difficile essere numero uno del mondo quando tutti i giocatori vogliono batterti. Giocano il loro miglior tennis contro di te”.
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